O número de pobres na Itália não diminuiu
nos últimos cinco anos, ao contrário, manteve-se constante e,
com a crise econômica, poderá aumentar, tanto do que diz
respeito à pobreza absoluta quanto à denominada pobreza
relativa. Essa constatação emerge com base no levantamento
realizado pelo Istituto Nazionale di Statistica – Istat,
divulgado nesta semana.A estimativa da incidência da pobreza
relativa – o percentual de famílias e pessoas pobres sobre o
total de famílias e a população residente – é calculada com base
no parâmetro convencionado – linha de pobreza – que determina o
valor de despesa para consumo sob o qual uma família é definida
pobre em termos relativos. O limiar de pobreza para uma família
com dois componentes é representado pela despesa média mensal
por pessoa que, em 2007, equivalia a 986,35 euros. As famílias
compostas por duas pessoas que tem uma despesa média mensal
igual ou inferior a tal valor são classificadas como
relativamente pobres.
Com base nesse parâmetro, 11,1% das famílias residentes na
Itália são consideradas pobres. No total, são 2.653 núcleos, com
7.542.000 mil pessoas, ou seja, 12,8% da população. As famílias
pobres têm uma despesa média equivalente a 784 euros/mês.
O fenômeno continua incidindo mais no Sul do país. No
Mezzogiorno a incidência é quatro vezes superior a registrada no
resto do país. A pobreza, como já ficara constado em outros
levantamentos, está fortemente associada ao baixo nível de
instrução, à baixa especialização profissional e à exclusão do
mercado de trabalho. A incidência de pobreza entre as famílias
com dois ou mais integrantes que estão à procura de trabalho é
quase quatro vezes superior a que é registrada entre famílias
onde nenhum componente está procurando trabalho.
Conforme o trabalho do Istat, a pobreza é mais difundida
entre as famílias maiores, em particular com três ou mais
filhos, especialmente se forem menores. Também é muito presente
entre as famílias com idosos.
La povertà relativa in Italia
In Italia, le famiglie che nel 2007 si trovano in condizioni
di povertà relativa sono 2 milioni 653 mila e rappresentano
l’11,1% delle famiglie residenti; nel complesso sono 7 milioni
542 mila gli individui poveri, il 12,8% dell’intera popolazione.
La stima dell’incidenza della povertà relativa (la
percentuale di famiglie e persone povere sul totale delle
famiglie e persone residenti) viene calcolata sulla base di una
soglia convenzionale (linea di povertà) che individua il valore
di spesa per consumi al di sotto del quale una famiglia viene
definita povera in termini relativi.
La soglia di povertà per una famiglia di due componenti è
rappresentata dalla spesa media mensile per persona, che nel
2007 è risultata pari a 986,35 euro (+1,6% rispetto alla linea
del 2006). Le famiglie composte da due persone che hanno una
spesa media mensile pari o inferiore a tale valore vengono
quindi classificate come relativamente povere. Per famiglie di
ampiezza diversa il valore della linea si ottiene applicando una
opportuna scala di
equivalenza che tiene conto delle economie di scala realizzabili
all’aumentare del numero di componenti.
La soglia di povertà relativa è calcolata sulla base della
spesa familiare rilevata dall’indagine annuale sui consumi (cfr.
Statistica in breve “I consumi delle famiglie Anno 2007” dell’8
luglio 2008), condotta su un campione di circa 28 mila famiglie,
estratte casualmente in modo da rappresentare il totale della
famiglie residenti in Italia. Per l’interpretazione delle stime
è quindi opportuno tener conto dell’errore che si commette
osservando solo una parte della popolazione (errore campionario)
e costruire un intervallo di confidenza intorno alla stima
puntuale ottenuta. Tali considerazioni sono fondamentali
nella valutazione dei confronti spazio-temporali: limitate
differenze tra le stime osservate possono non essere
statisticamente significative in quanto attribuibili alla natura
campionaria dell’indagine.
Nel 2007 la stima dell’incidenza di povertà relativa,
calcolata sul campione delle famiglie, è risultata pari
all’11,1%, valore che, con una probabilità del 95%, oscilla
sull’intero collettivo tra il 10,5% e l’11,7%.
Negli ultimi cinque anni l’incidenza di povertà relativa è
rimasta sostanzialmente stabile e immutati sono le
caratteristiche delle famiglie povere.
Il fenomeno continua ad essere maggiormente diffuso nel
Mezzogiorno, dove l’incidenza di povertà relativa è quattro
volte superiore a quella osservata nel resto del Paese e, tra le
famiglie più ampie, in particolare con tre o più figli,
soprattutto se minorenni. E’ inoltre più diffuso tra le famiglie
con componenti anziani - nonostante il miglioramento osservato
negli ultimi anni - che presentano valori di incidenza superiori
alla media, soprattutto se si tratta di più anziani conviventi
tra loro o con altre generazioni (famiglie con due o più anziani
o con membri aggregati).
La linea di povertà relativa, per come è definita, si sposta
di anno in anno a causa della variazione sia dei prezzi al
consumo, sia della spesa per consumi delle famiglie o, in altri
termini, dei loro comportamenti di consumo. Nell’analizzare la
variazione della stima della povertà relativa si deve, dunque,
tener conto dell’effetto dovuto a ciascuno di questi due
aspetti.
Nel 2007, la linea di povertà relativa è risultata pari a
986,35 euro, circa 16 euro in più rispetto a quella calcolata
per il 2006. Rivalutando la linea di povertà del 2006 in base
all’indice dei prezzi al consumo per l’intera collettività
(1,8%), si sarebbe ottenuto un valore della soglia pari a 987,81
euro, valore di circa un euro superiore alla linea standard del
2007. Di conseguenza, l’incidenza di povertà, calcolata nel 2007
rispetto alla linea di povertà 2006 rivalutata (pari all’11,2%),
è del tutto identica a quella ottenuta con la linea di povertà
standard del 2007.
Anche nelle tre ripartizioni non si osservano differenze
significative e si può dunque concludere che l’aumento della
linea di povertà è interamente imputabile all’aumento del
livello dei prezzi; le famiglie povere del 2007 sono quelle che
non hanno raggiunto lo standard di riferimento del 2006,
opportunamente rivalutato per tener conto della dinamica dei
prezzi.
La povertà è infine fortemente associata a bassi livelli di
istruzione, a bassi profili professionali (working poor) e
all’esclusione dal mercato del lavoro: l’incidenza di povertà
tra le famiglie con due o più componenti in cerca di occupazione
(35,8%) è di quasi quattro volte superiore a quella delle
famiglie dove nessun componente è alla ricerca di lavoro (9,9%).
Il fenomeno della povertà relativa, oltre che attraverso la
misura della sua diffusione, può essere descritto anche rispetto
alla sua gravità. L’intensità della povertà, che indica in
termini percentuali di quanto la spesa media mensile equivalente
delle famiglie povere si colloca al di sotto della linea di
povertà, nel 2007, è risultata pari al 20,5%: le famiglie povere
hanno una spesa media equivalente pari a 784 euro al mese
(l’1,9% in più rispetto al 2006 quando era di 769 euro).
Differenze territoriali
La povertà relativa risulta diversamente diffusa sul
territorio ed è particolarmente concentrata nel Mezzogiorno. In
tale ripartizione, che ospita un terzo delle famiglie residenti
nel paese, è povero ben il 22,5% delle famiglie e vi risiede
quindi il 65% del totale delle famiglie povere. Nel centro-nord,
dove meno di 7 famiglie su 100 si trovano in condizione di
povertà (5,5% nel Nord e 6,4% nel Centro), vive il 35% delle
famiglie povere e il 67,8% delle residenti.
Nel Mezzogiorno, inoltre, a una più ampia diffusione del
fenomeno si associa una maggiore gravità: le famiglie povere
presentano una spesa media mensile equivalente di circa 774 euro
(l’intensità è del 21,6%), rispetto ai 797 e 818 euro osservati
per il Nord e per il Centro (19,2% e al 17,1% rispettivamente).
Osservando il fenomeno con un maggior dettaglio territoriale,
il Veneto appare la regione con la più bassa incidenza di
povertà, pari al 3,3%, seguono la Toscana, la Lombardia e il
Trentino-Alto Adige, con valori inferiori al 6%.
Nelle restanti regioni del Nord e del Centro, le percentuali
di famiglie povere oscillano dal 6,2% dell’Emilia Romagna e 6,3%
delle Marche al 9,5% della Liguria e non risultano
statisticamente diverse tra loro.
In tutte le regioni del Mezzogiorno la povertà è
significativamente più diffusa rispetto al resto del Paese.
Fanno eccezione l’Abruzzo e il Molise, dove i valori
dell’incidenza di povertà (13,3% e 13,6% rispettivamente) si
avvicinano un po’ alla media nazionale e risultano
significativamente più bassi rispetto alla media della
ripartizione.
La situazione più grave, con oltre un quarto di famiglie
povere, è infine quella delle famiglie residenti in Basilicata
(26,3%) e in Sicilia (27,6%) che presentano valori
significativamente più elevati della media osservata per il
Mezzogiorno.
Le caratteristiche delle famiglie povere
Oltre un quinto (il 22,4%) delle famiglie con cinque o più
componenti si trova in condizione di povertà relativa,
proporzione che sale a un terzo (il 32,9%) se residenti nel
Mezzogiorno (Tavola 4). Si tratta per lo più di coppie con tre o
più figli e di famiglie con membri aggregati, tipologie
familiari tra le quali l’incidenza è pari rispettivamente al
22,8% e al 18% (32,3% e 30,3% nel Mezzogiorno).
La presenza di più figli minori all’interno della famiglia si
associa a un disagio economico ancor più evidente: l’incidenza
di povertà, pari al 14% tra le coppie con due figli e al 22,8%
tra quelle con almeno tre, sale al 15,5% e al 27,1% se i figli
sono minori. Il fenomeno, ancora una volta, appare
particolarmente concentrato nel Mezzogiorno, dove oltre terzo
(il 36,7%) delle famiglie con tre o più figli minori vive in
condizioni di povertà.
L’incidenza di povertà relativa, che si attesta su valori
prossimi alla media nazionale tra le famiglie con un solo
componente anziano (11,8%), sale al 16,9% se ve ne sono almeno
due. La povertà tra gli anziani appare, inoltre, relativamente
più diffusa nel Centro-Nord dove l’incidenza di povertà tra le
famiglie con almeno un componente ultrasessantaquattrenne supera
di oltre un quarto quella media ripartizionale: da valori medi
dell’incidenza del 5,5% nel Nord e del 6,4% nel Centro, si sale
al 7,6% e all’8% rispettivamente se nella famiglia vi é almeno
un anziano (nel Mezzogiorno l’incidenza osservata tra le
famiglie con almeno un ultrasessantaquattrenne è appena il 14%
superiore alla media ripartizionale: 25,8% contro il 22,5%).
Nel Nord, anche le famiglie di monogenitori mostrano una
povertà relativamente più diffusa: l’incidenza è più elevata
della media ripartizionale (6,1% rispetto a 5,5%), quando invece
nel Mezzogiorno risulta identica e pari al 22,5%. Questa
tipologia, insieme a quella degli anziani soli, caratterizza in
maniera evidente le famiglie con a capo una donna: il 48% e il
23% delle famiglie povere con a capo una donna sono anziane sole
e monogenitori. Nel centro-nord quindi, dove la povertà tra
queste tipologie familiari è relativamente più diffusa,
l’incidenza tra le famiglie con a capo una donna è prossima o
più elevata di quella rilevata tra le famiglie con a capo un
uomo; nel Mezzogiorno invece, dove l’incidenza della
povertà tra gli anziani soli e le famiglie monogenitori è
prossima o inferiore alla media, si ottiene che l’incidenza di
povertà tra le famiglie con persona di riferimento donna è
leggermente inferiore a quella osservata tra le altre famiglie.
La povertà risulta, infine, meno diffusa tra i single e tra
le coppie senza figli di giovani e adulti (di età inferiore ai
65 anni): l’incidenza è pari al 3,8% tra i primi e al 4,1% tra
le seconde.
Nell’individuare i profili delle famiglie povere, molto
importanti sono le caratteristiche della persona di riferimento:
oltre all’età e al sesso, il livello di istruzione, a sua volta
legato alla partecipazione al mercato del lavoro, alla
condizione e alla posizione professionale, è un fattore
strettamente associato alla condizione di povertà.
Anche la difficoltà a trovare un’occupazione o un’occupazione
qualificata determina livelli di povertà più elevati: è povero
il 27,5% delle famiglie con a capo una persona in cerca di
lavoro (ben il 38,1% nel Mezzogiorno). Le situazioni più
difficili appaiono, inoltre, quelle delle famiglie in cui non vi
sono occupati né ritirati dal lavoro; quasi la metà di queste
famiglie (48,5%) è povera, si tratta soprattutto di anziani soli
(senza una storia lavorativa pregressa), di coppie con figli e
di monogenitori.
Meno grave, ma con un livello di povertà ancora molto elevato
(30,6%), è la condizione delle famiglie senza occupati che, al
loro interno, hanno componenti ritirati dal lavoro e almeno un
componente alla ricerca di occupazione: nella maggior parte dei
casi si tratta di coppie con figli adulti e di famiglie con
membri aggregati; famiglie dove la pensione proveniente da una
precedente attività lavorativa rappresenta l’unica fonte di
reddito familiare.
In generale, le famiglie con componenti occupati presentano
le incidenze di povertà più contenute, ma se all’interno vi sono
persone in cerca di occupazione, il disagio assume una forte
rilevanza; ben il 19,9% di queste famiglie, costituite per lo
più da coppie con due o tre figli, vivono in condizione di
povertà.
In tutte le situazioni considerate, dunque, si tratta di una
povertà legata alla difficoltà ad accedere al mercato del
lavoro, in cui la presenza di occupati (e quindi di redditi da
lavoro) o di ritirati dal lavoro (e quindi di redditi da
pensione provenienti da una passata occupazione) non è
sufficiente ad eliminare il forte disagio dovuto alla presenza
di numerosi componenti a carico.
I livelli più bassi di incidenza si osservano per le famiglie
dove tutti i componenti sono occupati (3,6%) e per quelle dove
la presenza di occupati si combina con quella di componenti
ritirati dal lavoro (7,6%).
Nel primo caso si tratta di single giovani e di giovani
coppie entrambi occupati; nel secondo di famiglie di
monogenitori e di famiglie con membri aggregati dove la pensione
di vecchiaia dei genitori si combina con l’occupazione dei
figli.
E’ infine povero il 13,9% delle famiglie con a capo un
operaio o assimilato, un’incidenza doppia rispetto a quella
osservata tra le famiglie con a capo un lavoratore autonomo
(6,3%) e quasi quadrupla se ci si limita alle famiglie di liberi
professionisti (3,7%).
Nel Mezzogiorno solo l’incidenza osservata per le famiglie di
imprenditori e liberi professionisti (8,8%) è inferiore alla
media nazionale; anche per le famiglie di dirigenti e impiegati,
infatti, il valore è superiore (13,1% ) e sale al 27,1% per gli
operai e assimilati.
Il confronto tra il 2006 e il 2007
La sostanziale stabilità della povertà tra il 2006 e il 2007,
osservata sia a livello nazionale sia a livello di ripartizione,
caratterizza in generale anche le diverse regioni. Segnali di
miglioramento si osservano, infatti, solo per le famiglie
toscane, tra le quali l’incidenza di povertà da 6,8% è scesa al
4%.
Se oltre al territorio si analizzano specifici sottogruppi di
famiglie, emerge, a livello nazionale, un peggioramento tra le
tipologie familiari che tradizionalmente presentano una bassa
diffusione del fenomeno e tra le quali, comunque, i livelli di
povertà continuano a collocarsi al di sotto o in prossimità
della media nazionale: famiglie di tre componenti (l’incidenza
dal 10% è salita all’11,5%), in particolare coppie con un figlio
(dall’8,6% al 10,6%), e famiglie con persona di riferimento di
età compresa tra 55 e 64 anni (dal 7,5% al 8,9%). Un incremento
dell’incidenza di povertà si osserva anche tra le famiglie con
due o più anziani (da 15,3% a 16,9%), siano essi in coppia o
membri aggregati.
Segnali di miglioramento si osservano, invece, tra le
famiglie di monogenitori (dal 13,8% scende all’11,3%), in
particolare tra i monogenitori anziani; questo risultato che va
messo in relazione al generale miglioramento osservato, anche
negli anni precedenti, tra le famiglie con un anziano (dal 13%
all’11,8%), per le quali l’incidenza rimane comunque leggermente
superiore alla media.
L’incidenza di povertà scende, infine, tra le famiglie con a
capo un lavoratore autonomo (da 7,5% a 6,3%), in particolare se
lavoratore in proprio (da 9,6% a 7,9%), tipologie che già
presentavano livelli decisamente contenuti.
Nel Nord il peggioramento della povertà tra le coppie con un
figlio (da 3,2% a 5%) e tra le famiglie con un figlio minore (da
3,9% a 5,7%) è particolarmente evidente e si accompagna a quello
delle famiglie con cinque e più componenti (da 8,1% a 12,2%), in
particolare famiglie con tre o più figli minori (da 8,2% a
16,4%) e famiglie con membri aggregati (da 9,1% a 13,4%). Gli
unici segnali di miglioramento si osservano tra le coppie con
due figli (da 6,2% a 4,6%) e tra le famiglie con due figli
minori (da 8,4% a 5,6%).
E’ nelle regioni del Centro che appare più evidente la
diminuzione della povertà tra le famiglie con un solo anziano,
in particolare famiglie con membri aggregati (dal 16,5% al 12%)
o con a capo una persona con basso titolo di studio (dal 12,4%
al 10,3%).
Nel Mezzogiorno si osservano segnali di deciso miglioramento
tra le famiglie con cinque e più componenti (da 37,5% a 32,9%),
in particolare coppie con tre o più figli (da 38% a 32,3%) e con
tre o più figli minori (da 48,9% a 36,7%). L’incidenza di
povertà diminuisce, inoltre, tra le famiglie con a capo un
lavoratore autonomo (da 16,4% a 13,8%), in particolare se
lavoratore in proprio (da 19,7% a 16,3%). In questa stessa
ripartizione si rileva, al contrario, un peggioramento delle
condizioni delle famiglie di tre componenti (da 20,9% a 24,7%),
in particolare coppie con un figlio (da 19,4% a 23,5%), delle
famiglie con persona di riferimento di età compresa tra 55 e 64
anni (da 16,4% a 19%) e di quelle
con due e più anziani (da 29,3% a 33,2%).
Le famiglie a rischio di povertà e quelle più povere
La classificazione delle famiglie in povere e non povere,
ottenuta attraverso la linea convenzionale di povertà, può
essere maggiormente articolata utilizzando soglie aggiuntive,
come quelle che corrispondono all’80%, al 90%, al 110% e al 120%
di quella standard. Tali soglie permettono di individuare
diversi gruppi di famiglie, distinti in base alla distanza della
loro spesa mensile equivalente dalla linea di povertà.
Nel 2007, circa 1 milione 170 mila famiglie - il 4,9% del
totale delle famiglie residenti – risultano sicuramente povere,
hanno cioè livelli di spesa mensile equivalente inferiori alla
linea standard di oltre il 20%. Circa i due terzi di queste
famiglie risiedono nel Mezzogiorno.
Il 2,7% delle famiglie residenti, pur essendo povero,
presenta livelli di spesa per consumi molto prossimi alla linea
di povertà (inferiori di non oltre il 10%). Nel Centro-nord le
famiglie povere tendono a collocarsi in misura fortemente
maggiore vicino alla linea di povertà: quelle che hanno livelli
di spesa inferiori alla linea di povertà di non oltre il 10%
sono circa il 34% e il 38% delle famiglie povere del Nord e del
Centro mentre nel Mezzogiorno la percentuale scende al 29%.
Anche tra le famiglie non povere esistono sottogruppi a rischio
di povertà; si tratta delle famiglie con spesa per consumi
equivalente superiore ma molto prossima alla linea di povertà:
il 3,7% delle famiglie residenti, che rappresentano il 4,1%
delle non povere, presenta valori di spesa superiori alla linea
di povertà di non oltre il 10%. Nel Mezzogiorno la quota di tali
famiglie sale al 6,4% e rappresenta l’8,2% delle famiglie non
povere.
Le famiglie “sicuramente non povere”, infine, sono l’81% del
totale e si passa da valori prossimi al 90% nel Nord e nel
Centro (rispettivamente 89,6% e 86,6%) al 64,7% del Mezzogiorno.
Ne deriva che circa i due terzi delle famiglie sicuramente non
povere (il 69,7%) risiedono al Centro-nord.
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