Mas atualmente, apesar de toda a adoração externa e suas forças internas, a Itália parece não se amar. A palavra aqui é “indisposição”, e implica em um medo coletivo – econômico, político e social – resumido em uma pesquisa recente: os italianos, apesar de declararem terem dominado a arte de viver, afirmaram ser o povo menos feliz na Europa Ocidental.
Os problemas são, em sua maioria, velhos: política fraturada, crescimento desigual, crime organizado e uma nação cada vez mais velha e pobre – os negócios de pequeno e médio porte, a espinha dorsal da tradição familiar da nação, não podem competir em uma economia globalizada.
Politicamente, a Itália parece não ter se ajustado à morte, em 1992, dos Cristãos Democratas, que governaram por mais de 40 anos.
Economicamente, antes era fácil resolver problemas desvalorizando a moeda, a lira. Isso se tornou impossível com o euro, que também aumentou os preços, particularmente de moradia.
A quantidade de divórcios aumentou. Grandes famílias são coisas do passado. A Itália tem um dos índices de natalidade mais baixos da Europa, o menor número de crianças abaixo de 15 anos e a maior quantidade de idosos com mais de 85 anos, além da Suíça. Desemprego é baixo, 6%. Mas 21% da população entre 15 e 24 não trabalhava em 2006.
Evidências da idade da Itália estão em todo lugar. Em parques, grupos de idosas se juntam ao redor de uma única criança. Na televisão, as estrelas são velhas. (A idade média das apresentadoras do concurso de Miss Itália de 2007 foi de 70 anos. A ganhadora, Silvia Battisti, tinha 18 anos).
A Itália parece não parece rumar ao que antes parecia grandeza. Não há novos Fellini, Rossellini ou Loren. Seu cinema, televisão, arte, literatura e música raramente são consideradas de vanguarda.
Mas ela ainda tem Ferrari, Ducati, Vespa, Armani, Gucci, Piano, Illy, Barolo – todos símbolos de estilo e prestígio. Muitos acreditam que o futuro está em comercializar a mística de “Made in Italy”.
Il «New York Times» descrive «il malessere» di un’Italia «più povera e più vecchia» e il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, replica puntando l’indice verso le «corporazioni» che frenano le liberalizzazioni economiche pur confermando la fiducia nella «vitalità» della nazione.
Il quotidiano della Grande Mela ha pubblicato un reportage in cui descrive il malessere «economico, sociale e politico» italiano come la conseguenza del fatto che «i problemi non sono nuovi» ma «ha chiaro come il cambiamento può arrivare». La cartina tornasole è nell’essere rotolati alle spalle della Spagna per il sovrapporsi fra i livelli più bassi d’Europa nell’uso di Internet, nei salari e nella crescita «mentre il debito pubblico e i costi del governo sono fra i più alti».
Da qui la riduzione degli investimenti stranieri, con l’Italia precipitata nel 2004 a 16,9 miliardi di dollari rispetto ai 49,3 della Spagna. Il volto che il «New York Times» sceglie per riassumere lo scontento montante è quello di Beppe Grillo «comico e blogger» e del grido «Basta! Basta! Basta!» che gli ha consentito di raccogliere 250 mila firme per la petizione sull’elezione diretta dei parlamentari. Grillo, per il «Times», «tende a sinistra ma non risparmia nessuno negli show con il tutto esaurito, a suo avviso il problema è il sistema stesso».
E’ una tesi che sembra convincere la «Gray Lady» della stampa americana che vede nel successo dei libri «La Casta» e «Gomorra» la spiegazione del perché appena il 36 per cento degli italiani si dice «felice» rispetto al 64 dei danesi. Alexander Stille, docente alla Columbia University, spiega tale infelicità con il fatto che «la vita è più difficile» per il rallentamento della crescita che ha portato l’11 per cento delle famiglie e vivere sotto la linea della povertà. Affitti alti, aumento dei divorzi, fuga dei cervelli, diminuzione dei figli e invecchiamento della classe politica, il record dei politici con autista («Un’idiozia», per Napolitano) sono gli altri tasselli del «malessere» che non risparmia le culle del «made in Italy» come il Friuli, dove la concorrenza cinese si fa sentire sull’industria delle sedie. «Molti temono che l’Italia possa fare la fine della Repubblica di Venezia, il cui dominio sui commerci con il Vicino Oriente terminò senza un evento determinante». Oltre al «Times» anche il «Wall Street Journal» aveva ieri in evidenza un reportage italiano sulla sopravvivenza delle Br «ceppi violenti di una rivoluzione che sopravvive molto tempo dopo il crollo del comunismo».
Nulla da sorprendersi dunque se la platea del «Council on Foreign Relations» abbia accolto l’inquilino del Quirinale con domande che puntavano proprio a chiedere spiegazioni sul «malessere italiano». «Se l’Italia sembra crollare non dipende forse dall’eredità del comunismo al cappuccino ostile all’economia di mercato?» ha chiesto uno dei presenti.
«Il comunismo c’entra ben poco» è stata la risposta di Napolitano, che ha piuttosto puntato l’indice contro «le corporazioni» che si oppongono oggi alle liberalizzazioni dell’economia «come fecero durante il governo del centro destra». «Sono corporazioni che difendono interessi consolidati nel tempo» ha aggiunto Napolitano riferendosi alla rivolta dei taxi di Roma, aggiungendo che altri nodi da sciogliere sono «gli stipendi troppo bassi» a causa del peso fiscale e l’età pensionabile «da alzare». Per Napolitano tuttavia «il pessimismo sull’Italia non è molto fondato» come dimostra il fatto che «il nostro export verso gli Stati Uniti va bene nonostante l’euro forte».
«Possiamo scommettere sulla vitalità dell’Italia e sui suoi spiriti animali» ha concluso il presidente, riferendosi alla definizione usata dall’economista John Keynes per indicare uno degli ingredienti della prosperità.