Em novo esforço para encerrar crise com muçulmanos, Bento 16
prega o diálogo
Para pontífice, respeito deve ser recíproco "em todas as esferas';
líder islâmico do Egito diz que é preciso um pedido "claro" de
desculpas
DA REDAÇÃO
Em mais uma tentativa de contornar a crise provocada por uma citação
que fez, associando o profeta Maomé à violência, o papa Bento 16 disse
ontem que tem "total e profundo respeito" ao islã, mas reiterou que o
diálogo entre as religiões "requer reciprocidade".
Em encontro sem precedentes com diplomatas de 22 países muçulmanos na
residência de verão papal, em Castelgandolfo (Itália), Bento 16 se
pronunciou pela quarta vez sobre a polêmica citação das palavras do
imperador Manuel 2º, o Paleólogo (1391-1425), de que Maomé foi
responsável por ações "más e desumanas", como a ordem para "espalhar
pelo medo da espada a fé que pregava". Mas não se desculpou.
"Cristãos e muçulmanos devem aprender a trabalhar juntos para se
proteger contra todas as formas de intolerância", disse o papa, cujas
palavras proferidas no último dia 12, durante uma aula magna na
Universidade de Regensburg, em sua Alemanha natal, deflagrou a primeira
grave crise de seu pontificado e colocou em dúvida a viagem que tem
marcada para a Turquia, em novembro.
Segundo Bento 16, o diálogo entre cristãos e muçulmanos "não pode ser
reduzido a uma opção. É uma necessidade vital, da qual grande parte de
nosso futuro depende". Foi uma citação de um discurso feito por ele na
Alemanha, no ano passado, em que exortou os muçulmanos a ensinarem seus
filhos a repudiar a violência.
Diante dos diplomatas, Bento 16 também citou um trecho de um discurso
feito pelo papa João Paulo 2º, no Marrocos, em 1985, no qual afirmou que
"respeito e diálogo requerem reciprocidade em todas as esferas",
especificamente no que se refere à liberdade religiosa, tema de especial
preocupação do Vaticano.
Em alguns países muçulmanos, como a Arábia Saudita (que não mantém
relações diplomáticas com o Vaticano), adeptos de outros credos não têm
liberdade para professar sua fé em público.
Pedido claro
Muitos muçulmanos ainda sentem falta de um pedido formal de
desculpas. Para o egípcio Mohamed Habib, número dois da Irmandade
Muçulmana, o papa deveria parar de "desviar do assunto". "Ele deveria se
desculpar claramente ou retirar de seu discurso as referências ofensivas
[ao islã]."
Bento 16 abriu seu breve pronunciamento dizendo que "as
circunstâncias" que deram origem ao encontro eram "bem conhecidas" e
preferiu não fazer referência direta ao discurso de Regensburg.
"Acredito que esse encontro tenha resolvido muitos problemas. Podemos
encerrar a controvérsia", disse Khalil Altoubat, líder da comunidade
islâmica da Itália. Entre os países muçulmanos com laços diplomáticas
com o Vaticano, só o Sudão não participou do encontro.
Dos que estiveram com o papa, só o iraquiano concordou em fazer
comentários. "O santo padre expressou seu profundo respeito pelo islã.
Era o que esperávamos", disse Albert Edward Ismail Yelda. "É hora de pôr
o que aconteceu para trás."
Os esforços do papa foram puramente políticos e não devem acalmar os
radicais, prevê o professor de estudos islâmicos Tariq Ramadan, da
Universidade de Oxford. "Quem estava convencido de que ele estava contra
o islã não mudará de idéia", disse Ramadan.
(©
Folha de S. Paulo)
di Mauro Anselmo
Cattolici e laici solidali con il Papa. Ma con
qualche distinguo sul suo modo di comunicare che in due occasioni, in
passato, è stato oggetto di polemiche. E con una domanda scomoda.
L'incendio divampato nel mondo islamico sembra attenuarsi, ma restano
minacciosi i folli proclami dei terroristi. Qualcosa di nuovo, tuttavia,
è accaduto. Ancora una volta e per alcuni giorni, negli occhi di
milioni di europei, sono rimbalzate le agghiaccianti immagini televisive
della violenza religiosa.
Modernità satellitare e tuffo improvviso nel Medioevo più cupo. I siti
di internet con i truculenti proclami islamici e le ignobili caricature
del Pontefice.
Le riprese di Al Jazeera che filmava il fantoccio di Benedetto XVI dato
alle fiamme lungo le strade di Baghdad... Orrori di ordinaria
intolleranza. E, come se non bastasse, in un sovrapporsi di immagini
sempre più inquietanti, la foto sorridente di suor Leonella Sgorbati
assassinata in quei giorni a Mogadiscio in un clima di odio.
Spettri di fanatismo dilagante e pericoloso. Incubi di guerre di
religione che per noi, occidentali ed europei, sono di memoria
medioevale e premoderna. E tutto per colpa di un oscuro
personaggio ignoto ai più, quell'imperatore bizantino Manuele II
Paleologo chiamato in causa da Papa Ratzinger nel discorso
all'Università di Ratisbona. Un signore del Medioevo vissuto fra la
seconda metà del Trecento e i primi decenni del Quattrocento, prima
dell'invenzione della stampa e della scoperta dell'America, tre secoli
prima che l'Inquisizione cattolica bruciasse sul rogo l'eretico Giordano
Bruno.
Un imperatore del quale Papa Benedetto XVI ha citato una frase da lui
rivolta a un dotto persiano incontrato, forse, ad Ankara nel 1391. Una
frase a proposito dell'Islam che suona così: "Mostrami pure ciò che
Maometto ha portato di nuovo e vi troverai soltanto delle cose cattive e
disumane, come la direttiva di diffondere per mezzo della spada la fede
che egli predicava".
È la citazione che ha appiccato l'incendio. Davanti alle fiamme, pur con
toni e sfumature diversi, il mondo occidentale si è levato compatto
nella sacrosanta difesa del Papa. Anche se una cosa, per dovere di
onestà, va detta. E cioè che la citazione è stata, a dir poco, incauta,
soprattutto da parte di un pontefice che, essendo anche un raffinato
teologo, non ignora di certo l'estraneità della maggior parte del mondo
islamico alla nostra idea europea e illuminista di tolleranza religiosa.
Le parole di Ratisbona hanno gettato un cerino acceso sulla
polveriera Islam. Ed è per questo che in una parte del mondo cattolico e
fra i laici si fa strada una preoccupazione piuttosto seria.
Ha ragione di certo il cardinale Camillo Ruini a sottolineare le
"reazioni inqualificabili" del mondo islamico e a condannare le
intollerabili minacce al Pontefice. E siamo con lui nell'esprimere piena
e affettuosa solidarietà a Benedetto XVI. Sta di fatto, però, che
il Papa ha riconosciuto l'errore e si è definito dispiaciuto
alla cerimonia dell'Angelus di domenica 17 settembre.
Rendendosi conto, forse in ritardo, di un fatto a dir poco clamoroso:
mai era accaduto, nella recente storia della Santa Sede, che un
Pontefice riuscisse nell'impresa di saldare insieme Islam moderato e
Islam integralista in un sussulto di odio anticattolico così vasto e
condiviso da milioni di musulmani.
Ed ecco allora la domanda, scomoda e franca, che in molti, laici e
credenti, vorrebbero rivolgere oggi al Pontefice. Perché, Santità, lei
ha scelto quella citazione? Forse perché ama i discorsi alti, troppo
alti, senza curarsi troppo della capacità dei giornali di recepirli
nella loro complessità? O perché lei, e ci perdoni la sincerità, non è
insensibile agli applausi sempre più fragorosi dei teocon e degli atei
devoti, infiammati dal sacro fuoco contro "i nemici dell'Occidente"?
E, allora, diciamola proprio tutta. In un anno e mezzo di pontificato
non è la prima volta che Benedetto XVI inciampa in pesanti errori di
comunicazione. Bastino due esempi. Il primo risale all'estate
dell'anno scorso e dà origine a una curiosa coincidenza.
Mentre il 29 luglio 2005 sul Corriere della sera Pierluigi
Battista e Francesco Margiotta Broglio discutono in un interessante
botta e risposta dell'"anatema" rivolto da Ratzinger, negli anni da
cardinale, contro i romanzi di Harry Potter ritenuti "dannosi per i
giovani cristiani", ventiquattr'ore dopo il quotidiano se ne esce con un
titolo a tutta pagina negli Esteri: "Israele e Santa Sede, l'ora del
grande gelo".
Che cosa è successo? Che Papa Benedetto XVI nel condannare
durante la cerimonia dell'Angelus della domenica precedente gli
attentati terroristici avvenuti in Egitto, in Turchia e a Londra, è
scivolato su una dimenticanza piuttosto vistosa: la mancata deplorazione
dell'attentato kamikaze avvenuto due settimane prima a Netanya, nel nord
di Israele, che ha causato quattro vittime.
Il governo di Gerusalemme protesta con forza. I
giornali scrivono che "la crisi fra Santa Sede e Israele è la più grave
dall'accordo per l'avvio delle relazioni diplomatiche del 30 dicembre
1993". Un errore di Papa Benedetto? Intervistata dalla Repubblica, l'ex
presidente dell'Unione delle comunità ebraiche, Tullia Zevi, spezza una
lancia a favore di Ratzinger: "Anche il mestiere di Papa richiede un
difficile e pesante tirocinio".
Ma l'apprendistato non basta. Perché il brillante teologo, ex docente
universitario a Münster, Tubinga e Ratisbona, inciampa, a un anno di
distanza, in un altro infortunio con il mondo ebraico.
Durante la visita ad Auschwitz del maggio 2006, Benedetto XVI finisce
sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo in seguito alla presa di
posizione delle comunità ebraiche che restano sfavorevolmente colpite
dal suo discorso: "Dicendo che il nazismo fu solo opera di Hitler e dei
suoi" dichiara il presidente delle comunità ebraiche italiane Claudio
Morpurgo "il Papa ne dà un'interpretazione parziale che riduce la
responsabilità del popolo tedesco e di tutti coloro che hanno agito in
nome dell'ideologia antisemita".
È sull'ecumenismo che il Papa scivola con più facilità. Quella
che per Wojtyla era una strada obbligata e blindata, costruita con un
paziente lavoro fatto di viaggi, incontri, preghiere comuni con i
rappresentanti delle altre religioni, sembra diventata una pista di
ghiaccio sulla quale Benedetto XVI dà l'impressione di non essere a
proprio agio.
Lo indica un altro fatto. Proprio nel momento in cui il dialogo con
l'Islam, tenacemente sostenuto da Giovanni Paolo II, ha bisogno di nuovi
impulsi in un confronto teso ad arginare la deriva fondamentalista,
Benedetto XVI prende una decisione in controtendenza: dimezza
ruolo e compiti del Pontificio consiglio per il dialogo interreligioso
istituito da Paolo VI e potenziato da Wojtyla, per farne una semplice
appendice del Pontificio consiglio per la cultura.
Motivi di "riforma della curia e di riorganizzazione dell'apparato
burocratico" spiega la Santa Sede. Con due conseguenze. Quella di
provocare nei sostenitori del dialogo ecumenico una forte delusione. E
di suscitare un'impressione sempre più diffusa: che ridurre il dialogo
con le altre religioni a semplice confronto culturale non sia altro che
una brusca frenata rispetto alla marcia coraggiosa intrapresa con
tenacia dal rimpianto Karol Wojtyla.
Non lasciamolo solo
È l'Islam, oggi, la fonte principale di paura per l'Occidente? È il
rapporto con la fede islamica il problema numero uno per noi italiani?
Papa Benedetto XVI ha ammesso il proprio "dispiacere" davanti alle tv di
tutto il mondo per l'errata interpretazione del suo discorso a
Ratisbona. E l'Osservatore Romano, pur di chiarire l'equivoco su
Maometto, ha pubblicato in prima pagina, in lingua araba, il corretto
pensiero del Pontefice.
Ma dal mondo musulmano continuano ad arrivare reazioni contrastanti. Se
alcune autorità religiose hanno apprezzato il gesto del Papa, altre
rilanciano richieste perentorie di scuse, mentre i terroristi minacciano
attentati. Risultato: Roma e San Pietro blindate, città, aeroporti e
stazioni piantonati dalle forze dell'ordine.
Inutile nasconderlo, la gente ha paura e un interrogativo sempre
più assillante serpeggia nell'opinione pubblica: ma insomma che
cosa vogliono questi islamici? Possibile che per una semplice frase
pronunciata dal Papa milioni di persone scendano in piazza, brucino
chiese, ci investano con tutto il loro odio? Hanno ragione allora i
profeti dello scontro di civiltà, secondo i quali nessun dialogo con
l'Islam è possibile e il conflitto sarà inevitabile?
Non lo crediamo. Se un insegnamento c'è da trarre dagli eventi di questi
giorni, è che lo sforzo della ragione deve prendere il posto del nostro
sdegno e della paura. E la ragione, in questo momento, ci spinge a non
lasciare solo il Papa. Lui è il pensatore che più di ogni altro ha
richiamato l'Europa alla riscoperta delle radici cristiane e della
propria identità occidentale. Ed è su queste basi che può e deve
continuare il nostro dialogo con l'Islam. Nel rispetto reciproco, nel
ripudio di ogni minaccia, nella netta condanna della violenza, nello
sforzo di tendere, da parte di entrambi, alla comprensione dell'altro.
Non lasciare solo Benedetto XVI significa assumere le nostre
responsabilità di europei che credono nello spirito di tolleranza, nei
diritti inviolabili della persona, nelle libertà democratiche che siamo
pronti a difendere.
Ma non lasciare solo il Papa significa per noi anche un'altra
cosa: essere sinceri fino in fondo e non nascondere alcune perplessità.
Prima fra tutte quella di constatare l'indebolimento della spinta che
Karol Wojtyla aveva impresso al dialogo interreligioso. Lo diciamo con
franchezza, motivando la nostra tesi, nell'articolo seguente che apre le
pagine del servizio che Panorama dedica al difficile momento di
confronto con il mondo islamico.
Il servizio che offriamo ai lettori affronta il tema da punti di vista
diversi: dall'allarme sicurezza nel nostro Paese ai problemi e alle
ambiguità dei governi arabi moderati costretti a fronteggiare un'ondata
di integralismo sempre più aggressivo. Dall'analisi sul senso teologico
del confronto fra Cristianesimo e Islam ai retroscena e alle strategie
della diplomazia vaticana in Medio Oriente.
Pagine nelle quali ci siamo sforzati di guardare la realtà nella sua
complessità. Convinti che raccontare i fatti senza comode
semplificazioni o facili pregiudizi sia prima di tutto un servizio al
lettore e all'informazione in cui crediamo.
(©
Panorama)