Retornar ao índice ItaliaOggi

Notizie d'Italia

 

Itália irá liderar força no Líbano se houver comprometimento europeu

Il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema, "passeggia" tra le rovine di Beirut, a braccetto di due rappresentanti Hezbollah. La foto ha scatenato molte polemiche (Panorama)


Itália se diz pronta a assumir o comando, mas políticos da oposição se preocupam com a morte de militares

A Itália está pronta para assumir o comando da força da ONU no sul do Líbano se parceiros europeus se comprometerem com a operação. No entanto, nesta segunda-feira a oposição italiana alertou que a tarefa poderia se mostrar uma missão "camicase".

Segundo a agência Reuters, o premiê israelense, Ehud Olmert, teria pedido ao premiê italiano, Romano Prodi, que a Itália liderasse a nova força multinacional de 15 mil homens. França, Turquia e Alemanha afirmaram nesta segunda-feira que a Itália não irá ao Líbano sozinha.

"Entendo que todos temos problemas, mas temos que ir adiante unidos", afirmou o premiê italiano ao jornal Corriere della Sera.

Já a oposição de centro-direita diz que o entusiasmo de Roma é maior que o dos outros países europeus. Os políticos italianos se preocupam com a opinião pública em relação às mortes de militares, que forçaram o premiê anterior, Silvio Berlusconi, a retirar as tropas italianas do Iraque.

"Chirac irá mandar alguns generais, a Alemanha, um ou dois navios, enquanto nós temos que enviar tropas vestidas de camicases com a bandeira italiana", disse Francesco Storace, da Aliança Nacional, partido de direita.

Boas relações

O governo italiano aprovou o envio de três mil homens para a força de paz da ONU, sendo o maior contribuinte até agora. Já a França, que se esperava assumir a liderança, voltou atrás e se comprometeu com 200 homens por enquanto. A mudança de posição da França se deve principalmente ao receio dos militares em participar novamente de uma missão da ONU, ainda mais no Líbano. A última participação de franceses como capacetes azuis foi na Bósnia, onde muitos morreram. Além disso, a França apóia resoluções da ONU que impõem sanções ao Irã e Síria, fato que poderia tornar soldados franceses em território libanês em alvos de ataques.

O comprometimento italiano ainda não confirmado se deve à proximidade do país com o Oriente Médio, e da vontade do premiê em reverter o isolamento que Roma sofreu na Europa após o apoio de Berlusconi aos EUA.

"A Itália pode mudar o papel que costumava ter, como na crise de Suez", afirmou o subsecretário de relações exteriores, Bobo Craxi, em referência à mediação italiana nos anos 50.

A Itália sediou a negociação sobre a crise do Líbano em julho, mas o encontro foi criticado pois não se chegou a um acordo quanto à necessidade de pedir um cessar-fogo imediato.

Segundo o gabinete de Prodi, conversas com os premiês libanês e israelense nesta segunda-feira mostraram que a Itália poderia liderar devido à suas "excelentes relações como todos os países da área, estando pronta para assumir um papel de importância primária na missão FINUL".

Romano Prodi ainda não falou em um comando italiano, mas o ministro da defesa, Arturo Parisi disse que isso poderia ocorrer "eventualmente".

Um general com experiência em forças de paz disse que as boas relações no Oriente Médio tornam a atuação diplomaticamente possível.

"Acredito que um comando italiano teria aprovação dos árabes e israelenses", afirmou o general italiano aposentado que liderou uma força internacional em Kosovo, Carlo Cabigiosu

"E temos uma boa carta para jogar com o Hezbollah, que são as nossas boas relações com o Irã", afirmou o general, se referindo ao principal financiador do Hezbollah.

Prodi também corre o risco de oposição à força de paz italiana dentro de sua própria coalizão, que inclui comunistas que recentemente tentaram bloquear a participação de soldados italianos em missão de reconstrução da OTAN no Afeganistão.

(© Agência Estado)


Libano: missione ad alto rischio

di  Gianluca Beltrame

Troppi equivoci sul ruolo del nostro contingente. E l'Iran che potrebbe riaccendere il conflitto. Perché quello in Libano sarà l'intervento più pericoloso

La chiamano «la Stalingrado della Bekaa»: Khiam è un villaggetto di macerie a una manciata di chilometri dal confine israeliano. È qui che si sono sparati gli ultimi colpi di questa guerra sospesa, prima che tra militari israeliani e Hezbollah scattasse la tregua. Kalashnikov in mano, il miliziano del partito di Dio ha la sicumera di chi ha vinto la guerra: «I soldati italiani saranno i benvenuti se fermeranno le incursioni di Israele» dice.
«Ma non provino a disarmarci».

Concetto ribadito, in gergo più politico, da un portavoce di Hezbollah a Beirut, Ibrahim Zaraket: «Accoglieremo gli italiani come tutti gli altri contingenti della forza Onu.

Noi rispettiamo la risoluzione 1701 dell'Onu, come ha fatto il governo libanese di cui facciamo parte. Spero che l'esercito italiano farà il suo dovere nel difendere i civili dalle incursioni israeliane» ha dichiarato a Panorama.

Ai miliziani sciiti è arrivato l'ordine di ripristinare e nascondere gli arsenali prosciugati da un mese di aspri combattimenti. Compito non difficile, visto che l'embargo alle forniture di armi (che arrivano soprattutto via Siria) è scritto nella risoluzione Onu, ma al momento non c'è nessuno che lo faccia rispettare.

L'esercito israeliano si è ormai in gran parte ritirato dal sud del Libano e la forza di pace Onu è ancora di là da venire. Quanto alle truppe libanesi schierate a sud, nella migliore delle ipotesi lavorano insieme con Hezbollah. A volte prendono addirittura ordini dai comandanti dell'Esercito di Dio, che qui gode di altissima considerazione, e non solo perché ha promesso una casa, i mobili e perfino il frigorifero gratis a tutti quelli che hanno avuto l'abitazione distrutta dalla guerra.

È in questa situazione confusa che si troverà a operare il contingente Onu, atteso in Libano per gli inizi di settembre, e nel quale l'Italia è pronta ad assumersi importanti responsabilità. «Il mandato della missione è vago» avverte il generale Carlo Cabigiosu, che ha guidato le forze Nato in Kosovo.

«Sulle regole d'ingaggio, che sono una conseguenza del mandato, mi pare che la risoluzione 1701 non sia incoraggiante dal momento che si basa sul capitolo 6 della carta Onu, che autorizza i caschi blu all'uso della forza solo per autodifesa o per difendere i civili nella zona da loro protetta, e non sul capitolo 7, che consente l'uso delle armi per assolvere il mandato».

Traducendo: ognuno può girare la frittata a modo suo. Per esempio gli hezbollah vi leggono il fatto che i caschi blu non potrebbero intervenire quando loro lanciassero razzi sul nord di Israele, mentre avrebbero l'obbligo di sparare in caso di nuove incursioni in Libano dell'esercito con la stella di Davide.

Soprattutto, la risoluzione dell'Onu (che infatti verrà presto integrata) non risponde al problema di fondo: chi disarmerà gli hezbollah, una missione impossibile che non è riuscita al governo libanese prima e all'esercito israeliano poi.

Su questo punto cruciale la diplomazia si sta affannando, anche perché l'obiettivo non può essere raggiunto senza un accordo con i due grandi assenti al tavolo delle trattative: Damasco e Teheran. Per questo Massimo D'Alema vorrebbe una trattativa con la Siria (opzione osteggiata dalla Francia) e sempre in quest'ottica andrebbe letta la ormai famosa foto del nostro ministro degli Esteri a braccetto con gli esponenti di Hezbollah.
«Inutile sperare di operare in un quadro sicuro e certo» dice un alto diplomatico della Farnesina. «In Medio Oriente di certo c'è solo la morte che scandisce le ore della vita delle persone. Tutto il resto è relativo».

«In questa vicenda si sommano le ambiguità dell'Onu, quelle tradizionali del Medio Oriente e quelle del governo Prodi. Il quadro è preoccupante e confuso» commenta Maurizio Gasparri, dell'esecutivo di An e membro della commissione Difesa. «Finché non ci sarà chiarezza su che cosa si va a fare in Libano e con chi, noi non firmeremo cambiali in bianco».

«Certo, esistono ombre che andranno dissipate, del resto in Medio Oriente nessuno può sperare in facili soluzioni.

Ma qui c'è un mandato Onu per una missione di pace largamente condivisa dall'opinione pubblica mondiale» ribatte Antonello Soro, coordinatore della Margherita. «È una sfida importantissima, c'è la possibilità per l'Europa di far sentire la sua voce dopo un lungo periodo di unilateralismo americano, c'è soprattutto la consapevolezza compatta di questo governo che non esistono alternative».

A rendere più fosco il quadro c'è però un appuntamento che tutti aspettano con ansia: entro fine mese l'Iran dovrà dare la sua risposta al Consiglio di sicurezza Onu in merito allo sviluppo delle sue ricerche nucleari. E molti analisti prevedono che Hezbollah potrebbe tornare a far sentire la voce delle armi nel caso in cui Teheran scegliesse la strada del confronto duro con l'Occidente. In questo caso il contingente Onu in Libano si troverebbe in prima linea: una situazione molto peggiore rispetto all'attuale e profondamente diversa anche da quella, in questi giorni spesso ricordata, della missione di Italia, Francia e Stati Uniti in Libano, 24 anni fa.

«Quella fu la prima missione oltremare italiana del dopoguerra e venne effettuata con militari di leva» ricorda il generale Marco Bertolini, che guida il comando operativo delle forze speciali italiane e che partecipò alla missione degli anni 80. «Oggi impieghiamo professionisti, meglio addestrati e abituati a operare in un ambito multinazionale.

Anche sul piano tattico ci sono differenze: allora l'operazione era incentrata su Beirut, oggi il teatro operativo è più vario: campagna, colline e centri abitati».

C'è poi chi sostiene che all'epoca i nostri militari godessero di una speciale protezione garantita dalla politica estera italiana, molto apprezzata dai palestinesi e dagli stati arabi, e da una sorta di accordo stretto fra i nostri servizi segreti e gli estremisti musulmani. «Certo, eravamo ben inseriti nel contesto, anche dal punto di vista dell'intelligence» conferma il generale Franco Angioni, allora comandante del contingente italiano.

«A quel tempo però scontavamo uno scarso prestigio internazionale: eravamo considerati una media potenza occidentale, non certo paragonabili ai nostri partner. Dopo quella missione, invece, il nostro prestigio è cresciuto e non è un caso che il premier libanese Fouad Siniora abbia chiamato Romano Prodi e non un altro dei leader presenti al G8 di San Pietroburgo. Quanto ai nostri servizi, escludo che oggi lavorino male nella zona, tutt'altro».

Il Sismi può contare su un'ampia rete che opera sia con gli sciiti sia all'interno del grande campo profughi di Ein el-Hilweh. Un inciso: proprio l'impegno italiano in Libano metterebbe al sicuro da altre tempeste, almeno per qualche mese, il direttore del Sismi Niccolò Pollari. In questo momento, infatti, nessuno vuole un terremoto al vertice dei servizi.

Ma c'è un altro parallelo, inquietante, con la missione degli anni 80. Oggi il capo militare di Hezbollah è Imad Mughniya, che iniziò la propria carriera proprio all'epoca della prima missione in Libano. Fu lui a inventare i kamikaze mediorientali e i camion bomba, che lanciò contro il quartier generale dei marines (146 morti) e dei francesi (27 legionari uccisi). Le minacce di Hezbollah vanno prese drammaticamente sul serio. (ha collaborato Gianandrea Gaiani)

(© Panorama)


Para saber mais sobre:

powered by FreeFind

Publicidade

Pesquise no Site ou Web

Google
Web ItaliaOggi

Notizie d'Italia | Gastronomia | Migrazioni | Cidadania | Home ItaliaOggi