Con la selezione
della sezione Corto Cortissimo, curata da Stefano Martina, si
completa il programma della 63. Mostra Internazionale d’Arte
Cinematografica (30 agosto – 9 settembre), diretta da Marco Müller e organizzata
dalla Biennale di Venezia presieduta da Davide Croff.
Sarà la proiezione fuori concorso di Sekalli sa Meokgo (Stickfighter),
il nuovo cortometraggio del regista sudafricano Teboho Mahlatsi,
a inaugurare il 7 settembre Corto Cortissimo, la sezione dedicata
al “cinema breve” della 63. Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica
di Venezia. Già vincitore della competizione cortometraggi nel ’99 con
lo straordinario Portrait of a Young Man Drowning, e presente al
Lido anche due anni fa con la serie Yizo Yizo, quest’anno
Mahlatsi presiederà la giuria del concorso cortometraggi, composta anche
dalla montatrice Francesca Calvelli (fedele collaboratrice
di Marco Bellocchio) e dal regista russo Aleksey Fedorchenko,
vincitore nel 2005 di Venezia Orizzonti Doc con
Pervye na lune.
Diciassette film da quindici paesi, scelti tra i 1.100 (circa 300 in più
rispetto allo scorso anno) visionati da Stefano Martina, curatore della
Sezione, si disputeranno dunque il Leone per il miglior cortometraggio e
il Prix UIP riservato al miglior corto europeo.
Ricognizione approfondita in territori visivi ancora largamente
inesplorati o in costante e fluido mutamento, ma anche localizzatore
sensibile di tendenze e talenti che anticipano il cinema a venire, mai
come quest’anno la selezione di Corto Cortissimo punta sulla pura
intuizione e sulla scommessa, schivando il richiamo di nomi noti (pur
appagante in termini di una visibilità mediatica che al cortometraggio è
altrimenti di solito negata) per giocare esclusivamente sul terreno del
rigore formale, dell’emozione folgorante condensata in una manciata di
minuti, di una ricerca espressiva magari impetuosa e talvolta perfino
poco accomodante, ma mai fine a se stessa. Una marcata molteplicità di
stili, generi narrativi, strumentazioni drammaturgiche e background
registici (sono comunque ben quattro i film provenienti da scuole di
cinema) segna una compagine orientata decisamente sulla fiction, con la
sola eccezione di Levelek (Letters), affascinante
animazione realizzata con la sabbia da un maestro di questa tecnica come
l’ungherese Ferenc Cakó, candidato all’Oscar nel 1994 e premiato
a Cannes nell’88.
Pur prevalendo i film d’impianto drammatico, per uso del linguaggio o
per tema, si fa però apprezzare anche una presenza significativa della
commedia raffinata e ironica o paradossale, in grado di raccontare
indifferentemente, con pochi tratti essenziali, la Storia, il costume, i
comportamenti sociali, con una sensibilità che sa rivelarsi a volte
tagliente o corrosiva, altre volte obliquamente metaforica. È il caso di
Detektive, in cui il tedesco Andreas Goldstein volge in
gelido humour – con effetti esilaranti – la cupa atmosfera di sospetto
che avvolgeva la Germania Orientale ai tempi del Muro, come pure del
corto malese Adults Only, dove il regista Joon Han Yeo
(cresciuto professionalmente in Gran Bretagna, ma cinese di nascita)
ritrae con disincantata partecipazione la sua comunità d’origine, e
anche della vertiginosa roulette sentimentale che il brasiliano
Paulo Miranda mette in scena in Faça sua escolha (Make
Your Choice), fino al grottesco incubo neo-espressionista
Pharmakon, del greco-cipriota – ma anch’egli formatosi in
Inghilterra – Ioakim Mylonas.
Singolari fino all’eccentricità – se non addirittura decisamente
controverse – le storie d’amore, giocate a seconda dei casi sul filo
della memoria (commovente il franco-cileno Treinta Años di
Nicolás Lasnibat, neo-diplomato alla parigina Fémis), su una fatale
predestinazione ultraterrena (il sofisticato “fotofilm” tedesco Rien
ne va plus di Katja Pratschke e Gusztáv Hámos, già autori del
notevole Fremdkörper), su una realtà cruda e disperata fino alla
dannazione (Mum del danese Mads Matthiesen, ma anche il
cupio dissolvi sentimentale proposto da FIB1477 di Lorenzo
Sportiello, allievo del Centro Sperimentale di Cinematografia e
unico italiano in concorso), sulla riflessione al tempo stesso
esistenziale ed estetica (In the Eye Abides the Heart, debutto
nella regia di Mary Sweeney, produttrice e montatrice di molti
film di David Lynch), su un realismo appena “spolverato” di magia (Trillizas
propaganda dell’argentino Fernando Salem) o, al contrario,
sul “fantastico” che con naturalezza dialoga con il reale (Eva reste
au placard les nuits de pleine lune del belga Alex Stockman).
A
tracciare un ultimo possibile percorso tematico, come sempre del tutto
casuale e involontario, in diversi film della selezione emerge infine la
figura paterna, che di volta in volta si fa sguardo che guida lo
spettatore (il convulso e inquietante j’accuse sulla pedofilia
What Does Your Daddy Do? dell’inglese Martin Stitt, ma anche
l’altro britannico The Making of Parts di Daniel Elliott,
interpretato da un intenso Jerzy Stuhr), personaggio “ingombrante” che
invade il racconto fino a impadronirsene con prepotenza (come
nell’israeliano Simanei derech/Road Marks di Shimon Shai e
in Comment on freine dans une descente? della francese Alix
Delaporte), oppure semplice ma determinante pretesto che innesca e
accompagna la narrazione fino alla sua maturazione. È il caso,
quest’ultimo, del portoghese Um ano mais longo di Marco
Martins, un film complesso e stratificato che, nell’arco dei tre
giorni precedenti il capodanno cinese, fa vibrare la silenziosa sinfonia
di una città (Lisbona) e dei suoi mutamenti nel tempo, rispecchiandola
nelle emozioni e nei ricordi del protagonista, tornato al capezzale del
padre morente. Un film in cui, a ben guardare, non si fa troppa fatica a
riconoscere in trasparenza il contributo poetico di Tonino Guerra,
co-autore della sceneggiatura.
(©
La Biennale di Venezia)