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Morre fotógrafo de "A Vida É Bela" Tonino Delli Colli

19/08/2005

Tonino Delli Colli

 

Fotógrafo que trabalhou com Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini e Roberto Benigni, morreu hoje em sua casa de Roma, informou sua família

   Roma - O diretor de fotografia italiano Tonino Delli Colli, que colaborou com diretores como Federico Fellini, Pier Paolo Pasolini e Roberto Benigni, morreu em sua casa de Roma, informou sua família.

   Colli, considerado o "mago italiano da fotografia do cinema", trabalhou nos últimos 60 anos junto com os maiores diretores do cinema italiano, como Paolo Pasolini, Mario Monicelli, e Federico Fellini. Foi o diretor de fotografia do filme A Vida é Bela, de Roberto Benigni, que ganhou o Oscar de melhor filme estrangeiro em 1999.

   Sobre este último, Colli disse que foi o projeto "mais importante" de sua carreira, porém declarou que O Nome da Rosa foi o filme com o qual ele teve mais carinho.

   Nascido em Roma em 1923, o nome de Delli Colli está associado ao de alguns dos maiores nomes do cinema italiano, com dezenas de trabalhos pelos quais recebeu vários prêmios. Em 1939, com apenas 16 anos, começou a trabalhar nos estúdios da Cinecittá como ajudante em rodagens das quais foi se tornando progressivamente fotógrafo. Estreou como diretor de fotografia em 1943 com Finalmente sim, do húngaro Ladislao Kish. Com Sergio Leone fez Era Uma Vez na América (1984), foi fotógrafo também de O Evangélio Segundo Mateus (1964), de Pasolini; Crônica de um Amor Louco (1981), de Marco Ferreri; Ginger e Fred (1986), de Fellini e trabalhou também com Dino Risi e Mario Monicelli. Foi fotógrafo de diretores estrangeiros, como O Nome da Rosa (1986), de Jean Jacques Annaud; Lua de Fel (1992), de Roman Polanski, ou Histórias Extraordinárias (1968), de Louis Malle. (Ansa/EFE)

(© estadao.com.br)


Si spegne la luce di Delli Colli, un pezzo del cinema che se ne va

   «Il sole bisogna conoscerlo bene, bisogna conoscere bene i contrasti tra luce e ombra, e noi italiani, che conosciamo il sole del sud e le nebbie del nord, difficilmente sbagliamo. Non sbagliamo perché siamo abituati a lottare contro gli scherzi della luce del sole e contro l'azzurro del nostro mare». Amava il cinema, la vita e le donne Tonino Delli Colli. Con lui scompare un altro fondamentale pezzo della nostra storia del cinema, di quel periodo forse irripetibile nel quale il mondo guardava con ammirazione alle opere dei nostri registi. Lui sapeva dipingere con la luce: lo ha dimostrato tanto nei paesaggi del Far West quanto con le figure spesso ieratiche dei bianco e nero pasoliniani, passando per le malinconiche atmosfere di Fellini.

   Romano di nascita (classe 1921), Tonino Delli Colli arriva a sedici anni a Cinecittà, assistente operatore di Ubaldo Arata e Anchise Brizzi, («fui raccomandato da un'amica di mio padre che lavorava a Cinecittà»). Pe alcuni anni ha lavorato in tandem con suo cugino Franco Delli Colli, scomparso l'anno scorso. L'esordio come direttore della fotografia è nel 1943 con “Finalmente sì!” dell’ungherese Laslo Kish. Nel 1952 gira il primo film italiano a colori (Ferraniacolor) "Totò a colori" di Steno. Al genio napoletano, durante le riprese, andò a fuoco il parrucchino. Troppe le lampade puntate.

   «È l'ambiente che inevitabilmente cambia lo stile della fotografia. Un cow boy non si può fotografare come un borgataro romano. Ed è chiaro che la Monument Valley non è Torre Spaccata. Il diverso modo di illuminare viene da sè. Ed è quasi automatico». C’è la sua mano in grandi successi di Sergio Leone “Il buono, il brutto e il cattivo” (1966), “C'era una volta il West” (1968) e “C'era una volta in America”. «Era un artista molto pignolo - diceva di Sergio Leone - Curava tutto ciò che faceva nei minimi particolari, era uno stacanovista. Voleva i primi piani con i peli della barba ben in evidenza. Facevo tutto per accontentarlo fino all'impossibile».

   Ma fu con Pasolini che ebbe un sodalizio totale, lavorando in 11 dei suoi 14 film. Indimenticabile, per esempio, il Totò di “Uccellacci e uccellini” (del ’66). «Spesso con Pier Paolo sceglievamo per un film un pittore e questo facilitava molto le cose. Era un'indicazione che valeva per me come per il costumista, lo scenografo, l'arredatore, eccetera. Ad esempio per “Mamma Roma” la scena del ragazzo morto steso sul tavolaccio con le gambe e i piedi in primo piano era presa dal Mantegna». Con il poeta di Carsarsa Delli Colli si dava del lei e girò anche “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, l’ultimo, che quest’anno, restaurato, passerà alla Mostra del Venezia. Sarebbe stato un invitato d’onore ma forse avrebbe declinato l’invito.

   Aveva smesso di lavorare con “La vita è bella” di Roberto Benigni, nel 1997, lo stesso anno di “Marianna Ucria” di Roberto Faenza. Il cuore faceva le bizze. Nessun altro poteva più servirsi della sua arte, che aveva illuminato i film del dopoguerra di Dino Risi e Mario Monicelli, poi Federico Fellini e le nuove leve, Wertmuller, Bellocchio, Ferreri, quelle che avevano ridato linfa al nostro cinema, per arrivare a Giuseppe Tornatore.

   Numerosi i registi stranieri che lo hanno chiamato a lavorare, quando non era impegnato in Italia. Tra loro Louis Malle con “Tre passi nel deliro” del '67, Orson Welles con “Otello”, J. Jacques Annaud in “Il nome della rosa” del '86, Roman Polanski in “Luna di fiele” del '92. Nel suo palmares manca un Oscar, sebbene Benigni gli abbia dedicato quello della “Vita è bella”. Passando in rassegna i sei Nastri d'argento e i quattro David di Donatello, scorrono le immagini del nostro cinema migliore: “Il Vangelo secondo Matteo” di Pasolini, “La Cina è vicina” di Bellocchio, “Storie di ordinaria follia” di Ferreri,
“C'era una volta in America” di Sergio Leone.

   L’ultimo premio lo aveva ritirato pochi mesi fa a Los Angeles. Glielo hanno consegnato gli addetti ai lavori, quelli che in America si chiamano “cinematographer”, da noi direttore della fotografia. Oppure artigiano della luce, come forse amava definirsi, lui che andava orgoglioso di non aver mai studiato e di aver fatto pratica sui set, 130 film in 60 anni. Adesso ha chiuso bottega.

(© l´Unità)

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