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Presos italianos querem pena de morte

Foto: Libero Blog

 

Condenados à prisão perpétua, mafioso e 310 detentos defendem execução

Reuters

Centenas de prisioneiros italianos condenados à prisão perpétua pediram que o presidente Giorgio Napolitano restaure a pena de morte no país.

A revelação foi feita pelo jornal La Repubblica, que publicou ontem uma carta escrita pelo mafioso Carmelo Musumeci e assinada por outros 310 prisioneiros. De acordo com Musumeci, ele está cansado de morrer aos poucos. 'Queremos morrer apenas uma vez. Estamos pedindo que nossas sentenças sejam transformadas em penas de morte', afirmou o mafioso preso há 17 anos. Desde que foi preso, Musumeci, de 52 anos, terminou seus estudos escolares e obteve um diploma em Direito. Para o mafioso, sua sentença destruiu essas conquistas. Napolitano disse que a decisão sobre o caso será tomada pelo Parlamento.

A Itália aboliu a pena de morte no final da 2ª Guerra e desde então tornou-se um dos países mais críticos em relação à pena. Além disso, a União Européia proíbe a pena de morte em países do bloco. Atualmente a Itália tem 1,3 mil presos condenados à prisão perpétua, dos quais 200 já serviram mais de 20 anos da pena. Segundo as leis italianas, os presos condenados à prisão perpétua podem obter breves períodos de liberdade após 10 anos, se tiverem bom comportamento. Depois de 26, podem receber liberdade condicional.

(© Agência Estado)


«Ergastolo? Meglio la morte»

Trecentodieci condannati al carcere a vita scrivono a Napolitano: «Chiediamo che la nostra pena sia tramutata in pena di morte». Ne parliamo con la senatrice Maria Luisa Boccia, prima firmataria di un ddl sull'abolizione dell'ergastolo

di Lorenza Provenzano

Educare o punire? L'interrogativo rimane aperto e mai definitivamente risolto sia quando si affrontano tematiche pedagogiche in senso stretto sia, a maggior ragione, quando si parla di carcere. Per fortuna sono rari gli sbruffoncelli che, al pari di Fabrizio Corona, decantano il valore del carcere («"La sofferenza del carcere ti insegna a vivere. E' un'esperienza che dovrebbero fare tutti») manco fosse un soggiorno in beauty farm. La realtà è molto meno romantica, come testimonia il blog Dietro le sbarre.

Che in carcere si incontri un'umanità spesso più ricca (si veda il video qui sopra, girato nel carcere di Pescara) di quella distratta , egoista o superficiale che incrociamo nel nostro quotidiano è verità (o luogo comune?) risaputa, al pari della convinzione di molti che il privilegio di uscire tocchi ai più abbienti e che insomma piova sempre sul bagnato. «I grandi delinquenti - scrive un blogger in una (immaginaria?) Lettera a un delinquente minore -, quelli con i princìpi tutti sbagliati nel loro cervello, escono in un altro modo dal carcere, con i bravi avvocati professionisti, ben pagati. Tanto a loro li aspetta il vero sole che io o altri non hanno mai voluto conoscessi».

Devianza e normalità: due mondi che faticano a comunicare e che tuttavia devono trovare un terreno comune d'intesa, come si dice in questo blog: «Se la società non entra in carcere, è il carcere che deve entrare nella società; solo in questo modo la conoscenza di una realtà "lontana" entra a far parte della conoscenza comune cercando di intervenire sull'informazione conformista, spesso deleteria all'informazione stessa e alla società». Ferma restando, aggiungiamo noi, la consapevolezza che i due "interlocutori" non si pongono su un livello di pari legittimità: se la società è chiamata a un'autentica posizione di ascolto, rimane assodato che essa non può scendere a patti e compromessi quando si tratta di chiedere ai cittadini il rispetto della legalità senza se e senza ma.

Ma fino a che punto è lecito prolungare la condanna di chi si è macchiato dei più gravi reati? «L'ergastolo è l'invenzione di un non-dio - hanno scritto trecentodieci ergastolani in una lettera indirizzata al Presidente Napolitano - di una malvagità che supera l'immaginazione. È una morte bevuta a sorsi. È una vittoria sulla morte perché è più forte della morte stessa». Parole forti, alle quali si accompagna una richiesta accorata: «Signor presidente della Repubblica - scrivono questi detenuti -, siamo stanchi di morire un pochino tutti i giorni. Abbiamo deciso di morire una volta sola, le chiediamo che la nostra pena dell'ergastolo sia tramutata in pena di morte». E ancora: «All'ergastolano - proseguono i carcerati nella lettera al Capo dello Stato - rimane solo la vita. Ma la vita senza futuro è meno di niente. È piatta ed eterna». Capofila della protesta, Carmelo Musumeci, ergastolano già scontratosi varie volte con le direzioni carcerarie, nonché autore di una tesi di laurea (Musumeci ha iniziato e completato gli studi in Giurisprudenza dietro le sbarre) dal titolo Vivere l'ergastolo.

Al tema è particolarmente sensibile la senatrice del gruppo di Rifondazione Comunista Maria Luisa Boccia, prima firmataria di un disegno di legge che chiede, appunto, l'abolizione dell'ergastolo e che auspica i 30 anni di carcere come la pena massima comminabile da un tribunale. Chiudere la cella e «buttar via la chiave», secondo un'espressione tanto infelice quanto comune, è troppo crudele: questo è almeno il pensiero della senatrice Boccia, alla quale chiediamo a che punto sia l'iter legislativo del provvedimento: «Il ddl è al momento depositato in Commissione, ma non ancora in calendario. Prima dell'estate è impossibile metterci mano, ma conto di ottenere che sia discusso quanto prima. Questo è un tema che del resto sta affrontando anche Pisapia, che presiede la Commissione di revisione del Codice Penale. La direzione che si sta prendendo anche in quella sede è quella di considerare il carcere come ultima ratio, dopo una serie di pene alternative».

Le problematiche sollevate da Musumeci e da tanti altri nelle sue condizioni riguardano, oltre alle miserabili condizioni di vita dentro le mura del carcere, anche le insormontabili difficoltà incontrate nella fase di reinserimento da chi magari usufruisce di sconti di pena, a fronte di patteggiamenti e di eventuali collaborazioni con il lavoro degli inquirenti, previsti dalla nostra legislazione premiale, come testimonia un ex detenuto nel video qui sotto. «Questo è un problema più generale - concorda la senatrice Boccia -, che risulta acuito per chi ha periodi di pena più lunghi».
Colpevoli e vittime: gli uni da recuperare, ove si creda che anche un uomo che ha commesso i più atroci delitti possa radicalmente cambiare, gli altri da risarcire di perdite affettive o di danni personali spesso irreparabili: come riuscire a bilanciare necessità e diritti a prima inconciliabili? Il tema è tornato di scottante attualità: prova ne sia la designazione di una Giornata di memoria delle vittime del terrorismo e il tributo, a 35 anni dal suo assassinio, toccato al commissario Calabresi, il cui figlio Mario ha dato alle stampe da poco un libro toccante (Spingendo la notte più in là) sulla vicenda dolorosa che ha accomunato la sua famiglia a quella di tante altre vittime del terrorismo.

E' giusto, chiediamo alla senatrice Boccia, che si chieda di chiudere i conti col passato proprio ai familiari, per i quali il "fine pena mai" è una realtà quotidiana, una ferita che non si rimargina, il cui dolore si riacutizza ogni volta che un ex terrorista viene interpellato come un maître a penser? «Ho letto l'intervista a Mario Calabresi su L'espresso e trovo che abbia ragione, per quanto riguarda le mancanze delle istituzioni e della società, che non sa rielaborare un passato politico, nei confronti delle vittime. Tuttavia la giustizia non è risarcimento: essa deve porsi quale obiettivo la verità e deve decidere una pena al solo fine riabilitativo e di reinserimento nella società. Quanto ai terroristi che godono di sconti di pena pur non avendo mai fatto i nomi dei complici dei loro omicidi, tuttora in libertà, io sono la prima a considerare discutibile il baratto confessione=sconto di pena. Ci sono terroristi che hanno rielaborato tutto il loro passato attraverso altri percorsi».

Il dolore privato, chiediamo alla senatrice Boccia,rischia a suo parere di degenerare in un atteggiamento giustizialista e forcaiolo? «Beh, un po' sì. E' un problema soprattutto culturale - risponde la senatrice di Rifondazione -. Veniamo investiti di fatti di cronaca che non abbiamo gli strumenti per rielaborare. Vedo che la gente cerca in ogni modo di individuare un nemico, chiede vendette, pene severe. Bisogna invece individuare le radici dei problemi e della criminalità. Creare l'idea che ci sia una situazione d'emergenza - e non c'è, perché gli omicidi non sono aumentati - finisce per sollecitare risposte d'emergenza che fanno ancora più danno e che non hanno alcuna durata». L'individuazione delle radici del male, dunque, va di pari passo con la messa a punto di percorsi riabilitativi: ma chi può dire perché un uomo uccide?

(© Libero News)

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