La Farnesina esprime «Viva sorpresa e forte rammarico» per la
concessione dell’asilo politico a Cesare Battisti; ne dà notizia una nota.
Da parte italiana spiega la nota, si esprime «viva sorpresa e forte
rammarico per la decisione assunta dal Ministro della Giustizia brasiliano
che, ribaltando quanto stabilito dal Comitato nazionale per i rifugiati, ha
accolto il ricorso di Cesare Battisti, un terrorista responsabile di
gravissimi delitti che nulla hanno a che fare con lo status di rifugiato
politico».
«Nell’esprimere apprezzamento per la decisione adottata a fine novembre
scorso dal Comitato che aveva negato, nell’ambito delle sue competenze, il
riconoscimento dello status di rifugiato al terrorista Battisti» - prosegue
la nota - l’Italia rivolge un appello al Presidente Lula da Silva perché
vengano esperite tutte le iniziative che possano promuovere, nel quadro
della cooperazione giudiziaria internazionale nella lotta contro il
terrorismo, una revisione della decisione giudiziaria adottata». «Ciò vale a
maggior ragione - conclude la nota - in un momento in cui i Paesi del G8 e
quanti con essi hanno un rapporto di intensa collaborazione, come il
Brasile, saranno chiamati a confermare un impegno solenne e a promuovere
azioni sempre più efficaci per sconfiggere il terrorismo internazionale».
«Ancora una volta ingiustizia è fatta». Il leghista Roberto Castelli
accoglie così la decisione del Brasile di riconoscere a Cesare Battisti lo
status di rifugiato politico. «Ingiustizia - sostiene l’ex Guardasigilli -
nei confronti delle vittime, ingiustizia nei confronti dei famigliari delle
vittime, ingiustizia nei confronti della giustizia italiana, atteso che
nelle motivazioni del magistrato non viene riconosciuta l`autorità della
regolarità della sentenza».
La protesta per la decisione del Brasile arriva però anche dagli ambienti
della sinistra. Piero Fassino ha infatti commentato così: «Non la condivido
- ha detto l’esponente Pd - penso sia una decisione sbagliata perchè il
processo che ha subito Battisti in Italia non è un processo per reati
politici ma per reati molto gravi di sangue che hanno provocato delle
vittime, è stato un protagonista della stagione lontana del terrorismo e
credo che sarebbe giusto che la magistratura brasiliana fosse più
consapevole delle scelte che fa». «Non credo che sia un atteggiamento verso
l’Italia - ha detto Fassino - c’è una valutazione secondo me errata di reati
legati al terrorismo politico, siccome sono legati al terrorismo politico si
pensa che la motivazione politica che ha ispirato questo reato in qualche
modo nobiliti il reato stesso e assolva dalla responsabilità, io non credo
che possa essere così, credo che quando si uccide un uomo, qualsiasi sia la
ragione per cui lo si sia ucciso anche per ragioni politiche, si deve
rispondere di quell’ omicidio».
(©
La Stampa Web)
Quattro omicidi e l'ergastolo per lo scrittore
noir
Un maresciallo degli agenti di custodia di Udine;
un gioielliere milanese e un macellaio mestrino
iscritto all'Msi che in comune avevano soltanto
l'aver sparato ad un rapinatore; un agente della
Digos di Milano: sono le vittime per le quali la
giustizia italiana ha condannato all'ergastolo
Cesare Battisti, l'ex militante dei Proletari Armati
per il Comunismo (Pac) a cui il Brasile ha concesso
lo status di rifugiato politico contro la richiesta
di estradizione dell'Italia. A Rio de Janeiro
Battisti fuggì nel 2004, poco prima del
pronunciamento definitivo del Consiglio di Stato
francese che l'avrebbe estradato in Italia da
Parigi, città dove l'ex militante dei Pac, così come
altri terroristi coperti dallo 'scudo' della
dottrina Mitterand, si era rifatto una vita come
affermato scrittore noir. L'arresto in Brasile, nel
marzo del 2007, mette fine alla sua latitanza.
Le vittime di Battisti tra loro non si conoscevano - Unite nel
destino da un terrorismo che in quegli anni lasciava morti sulle strade
ad un ritmo impressionante. Andrea Santoro fu il primo a cadere sotto i
colpi dei Pac. A 52 anni viveva una vita tranquilla con la moglie e i
tre figli, a Udine, dove comandava con il grado di maresciallo il
carcere di via Spalato. Il 6 giugno del '78, quando lo uccisero, non era
ancora passato un mese dal ritrovamento del cadavere di Aldo Moro in via
Caetani e l'Italia era ancora sotto choc. Lo attesero sotto il carcere e
quando arrivò lo freddarono con una pistola militare. A sparare, secondo
gli inquirenti furono proprio Battisti e una complice, con la quale si
scambiò false carezze fino al momento di colpire. I due, fu ricostruito
poi, fecero perdere le loro tracce confondendosi tra i turisti: a bordo
di una '2 cavalli' con tanto di gommone sul tetto, si allontanarono
verso Grado. Per i Pac quello fu il battesimo del fuoco. E il '79 ne fu
il triste prosieguo: tre omicidi, due a Milano e uno ancora nel nord
est, a Mestre. Il 16 febbraio la prima, duplice azione: a Milano fu
ucciso il gioielliere Pierluigi Torregiani; a Mestre il macellaio Lino
Sabbadin.
Nella rivendicazione: ''E' stata posta fine" alla loro "squallida
esistenza" - Il gioielliere e il macellaio avevano in comune una
cosa: spararono e uccisero un rapinatore. E per questo furono puniti;
una vendetta insomma. Torregiani fu ammazzato poco prima delle 16,
davanti alla sua gioielleria nel rione Bovisa. Gli spararono mentre
usciva dal negozio assieme al figlio: il gioielliere fece in tempo ad
estrarre la pistola e a far fuoco, ma non a salvarsi. Suo figlio, poco
più che adolescente, invece si salvò. Ma fu ferito alla spina dorsale e
rimase paralizzato. Due ore dopo, alle 18 fu la volta di Lino Sabbadin.
Due giovani entrarono nella sua macelleria a Santa Maria di Sala e gli
spararono con una calibro 6,35. La colpa di Sabbadin era quella di aver
ucciso un rapinatore che due mesi prima era entrato nella macelleria. Il
'79 dei Pac non era ancora finito: il 19 aprile fu la volta di Andrea
Campagna, agente della Digos milanese, uno 'sbirrò. Uno sconosciuto si
avvicinò al poliziotto appena 25/enne in via Modica, nel quartiere della
Barona, e sparò. Cinque colpi di pistola calibro 375 magnum lo colpirono
nella zona sinistra del torace, in corrispondenza del cuore. Per lui non
ci fu nulla da fare. Poco dopo una telefonata al 'Secolo XIX' e a 'Vita'
rivendicò l'omicidio a nome dei Proletari Armati per il comunismo.
(©
Tiscali.Notizie)