
di Aldo
Quaglierini La tragedia si abbatte sul
ciclismo. Il cadavere di Marco Pantani è stato trovato nella tarda
serata di sabato, semivestito, per terra, in una stanza del
residence «Le Rose» di Rimini. Sono
stati i gestori dello stesso residence a dare l’allarme. Sul posto
si sono precipitati uomini della polizia di Rimini e,
successivamente il medico legale e il magistrato. Marco Pantani,
34 anni, aveva preso alloggio da pochissimi giorni, da solo, al
residence-hotel «Le rose», una costruzione bianca con balconi
verdi che si trova in viale Regina Elena, sul lungomare di Rimini.
Al personale dell’albergo era apparso strano e a tratti assente. A
dare l’allarme è stato verso le 21,30 il portiere. Marco era stato
visto per l’ultima volta nel pomeriggio; non avendolo visto
scendere il personale del residence si è insospettito, ha bussato
inutilmente alla camera, trovando anche difficoltà ad aprire la
porta che era chiusa dall’interno. Quando finalmente è stato
possibile entrare nella stanza, Pantani è stato trovato riverso e
privo di vita. Vicino alcune confezioni di medicinali. Restano
per il momento sconosciute le cause del decesso, ma secondo le
prime indiscrezioni non si tratterebbe di morte violenta. Le
notizie, confuse e frammentarie che arrivano in questi concitati
momenti lasciano ipotizzare anche il suicidio. Di sicuro, dopo il
ritiro dall’agonismo, Marco Pantani era caduto in uno stato di
profonda depressione. Negli ultimi tempi, il «Pirata», nato a
Cesena ma residente da sempre a Cesenatico, era andato ad abitare
a Ravenna, e recentemente si era ritirato a Predappio per cercare
di riprendere la forma, comunque di uscire dalla prostrazione che
lo aveva colpito. Gli amici erano però molto preoccupati, perché
lo vedevano sempre depresso, fisicamente molto ingrassato (si dice
avesse raggiunto, lui che era longilineo, il peso di 80 chili),
mentre aveva causato diversi incidenti stradali. Nell’ultimo,
aveva imboccato con la sua Mercedes una strada in senso vietato
sfasciando tre o quattro in una carambola pazzesca. Le voci che
circolavano su di lui parlavano di profonda depressione, sì, ma
anche di di droga, di abbandono, di spirale negativa che lo stava
trascinando a fondo. Per questo, esclusa per il momento la causa
violenta, gli amici di Marco hanno subito pensato al suicidio,
tesi che, però, deve essere confermata dall’autopsia. Da poco
passata la mezzanotte e mezzo, è arrivata al residence Le Rose di
Rimini Manola, la sorella di Marco Pantani che, protetta da alcuni
conoscenti, ha varcato la piccola folla di giornalisti e
cineoperatori per poi entrare nell' hotel. Piuttosto sconvolta, ha
gridato qualche improperio ai fotografi e ai cameramen che la
stavano riprendendo. pronunciando frasi come «andate via, andate
via». «Nessuno lo ha aiutato, qualcuno lo avrà sulla coscienza»,
dice adesso il presidente del club «Magico Pantani», Vittorio
Savini. Per il sindaco di Cesenatico, Damiano Zoffoli, la morte di
Pantani è un lutto profondo per la città alla quale «ha regalato
momenti di emozione e di gioia». Tutto questo è stato Pantani.
( © L´Unità Online)
Quel pirata che volava nelle salite
Marco Pantani era nato il 13
gennaio 1970 a Cesena, anche se con la famiglia risiedeva a
Cesenatico. A 12 anni decise si salire su una bicicletta e si
iscrisse al circolo “Fausto Coppi” di Cesenatico. È diventato
professionista il 5 agosto 1992 con la Carrera Tassoni,
squadra con cui ha corso fino al 1996. La prima vittoria da
professionista arriva nel 1994 nella tappa di Merano al
Giro d'Italia. Quell'anno Pantani vince anche la tappa di Aprica.
Nel 1995 arriva la vittoria nella tappa di Flumsberg al
Giro di Svizzera, ma sono le due tappe (Alpe d'Huez e Guzet Neige)
al Tour de France a imporlo all'attenzione del grande pubblico e
dei media. Il mito del Pirata (corre con una bandana colorata sul
capo invece del berrettino) nasce lì, sulle salite del Tour. Nello
stesso anno vince il bronzo ai Campionati del mondo di Duitama in
Colombia ma è in agguato il primo dramma della sua carriera: il
terribile incidente alla Milano-Torino, quando una vettura gli
frattura entrambe le gambe, lo costringe a lunghe cure e a saltare
un'intera stagione. Nel 1997 riprende le gare passando alla
Mercatone Uno, ma la sfortuna sembra ancora perseguitarlo: una
caduta al Giro (25 maggio, tappa di Castrovillari) lo costringe al
ritiro, poi si riprende al Tour dove vince la tappa dell'Alpe
d'Huez e di Morzine. Il 1998 è l'anno della doppia
straordinaria impresa: vince il Giro d'Italia e nella corsa rosa
s'impone in due tappe (Piancavallo e Montecampione). Subito dopo
va al Tour de France, vince le tappe di Plateau de Beille e Les
Deux Alpes e arriva al Parco dei Principi a Parigi da trionfatore
in maglia gialla. Entra nell'élite dei campionissimi che hanno
vinto Giro e Tour nello stesso anno.
Nel
1999 comincia alla grande e Pantani sembra destinato a
dominare ancora in Italia e all'estero. Al Giro si prende la
maglia rosa, vince quattro tappe: Gran Sasso, Oropa, Pampeago,
Madonna di Campiglio. Proprio sulle rampe della strada che sale da
Pinzolo verso la località delle Dolomiti di Brenta se ne va solo,
alla sua maniera, con uno scatto secco, irresistibile per tutti.
E' l'ultima volta che il mondo vede il vero Marco Pantani. Il
mattino dopo quella trionfale vittoria a Madonna di Campiglio
viene fermato: un controllo rivela che il suo ematocrito è troppo
alto, fuori norma. E' un dramma personale che comincia: Pantani si
proclama innocente, lascia la carovana del Giro che credeva già
suo e che riparte senza di lui. E' completamente distrutto. Da qui
inizia la parabola discendente: l'uomo che dominava le salite non
riesce a frenare la propria discesa verso le crisi interiori e la
fatica di ritrovarsi. Lo condanna probabilmente l'inattività dal
5 giugno 1999 al 22 febbraio 2000 e dal 24
febbraio al 13 maggio. Prova a reagire, a tornare come
prima. Rientra per il Giro del Giubileo con partenza da Roma ma
non riesce a terminarlo. Va al Tour e vince le tappe del Mont
Ventoux, cima leggendaria, e di Courchevel. Poi ancora incertezze
sul futuro fino al Giro di quest'anno in cui dimostra di voler
tornare a buoni livelli e chiude al 14esimo posto malgrado
l'ennesima sfortuna di una brutta caduta. Non va al Tour, ma si
ricovera in una clinica vicino Padova a giugno 2004 per
disintossicarsi. E' l'ultima notizia uffficiale prima della morte.
( © L´Unità Online)
Addio a Marco dai giornali di tutta
Europa
La morte di Marco Pantani
monopolizza le pagine dei giornali sportivi di tutta Europa. in
Francia, l'Equipe dedica ampio spazio in prima pagina al
decesso del ciclista romagnolo: La morte di Pantani, titola
il quotidiano francese accanto alla foto del "pirata".
In Spagna, sulla prima
pagina di Marca, la presentazione della sfida calcistica
tra Real Madrid e Valencia è sovrastata dalla notizia della
tragica fine del ciclista romagnolo. Marco Pantani trovato
morto in un hotel, si legge sul giornale. Nella sua versione
online, il quotidiano spagnolo propone uno speciale sull'atleta
ripercorrendone i successi attraverso una ricca galleria
fotografica. Nel forum, circa 200 messaggi di appassionati che
hanno inviato un ultimo saluto.
Adios al pirata sono invece le parole scelte da As,
che racconta "la triste fine del corridore italiano che tutto il
gruppo chiamava affettuosamente pirata".
Anche i
giornali tedeschi danno spazio alla tragedia che si è consumata
nel residence "Le rose". Der Spiegel, nella sua versione
web, annuncia che Marco Pantani è stato trovato morto e
ricorda "la stella del ciclismo, spesso avversario di Jan
Ullrich". Il Bild, nello strillo in prima pagina, ricorda
che il ciclista soffriva di depressione. Nell'articolo contenuto
nelle pagine sportive, Pantani non è identificato con il
soprannome di "pirata", ma con quello di "elefantino", che lo
accompagnò però soprattutto nei primi anni della carriera.
Il
quotidiano belga Le Soir pubblica una grande foto del
"pirata" in azione. Pantani è ritratto di spalle, mentre con la
maglia gialla da leader del Tour de France si alza sui pedali, in
salita, affiancato dal pubblico che lo applaude.
La morte
di Pantani trova spazio anche su Usa Today. Le prime righe
dell'articolo sottolineano che «l'ex vincitore di Tour de France e
Giro d'Italia negli ultimi anni era stato oggetto di accuse di
doping e sospensioni».
«La fine
di una corsa difficile» è il titolo del servizio della Bbc
sulla morte di Marco Pantani. L'emittente televisiva britannica ne
ricostruisce ampiamente la carriera, raccontando i trionfi e gli
scandali che hanno accompagnato la vita dell'«idolo caduto».
Il
quotidiano spagnolo El Mundo sottolinea la grande
commozione che la morte del 34enne ciclista romagnolo ha suscitato
in Italia.
E il
giornale francese Le Monde riprende le dichiarazioni
commosse - una «tragedia», un «dramma» - di alcuni grandi campioni
di oggi e di ieri del ciclismo italiano, tra cui Marco Cipollini e
l'indimenticato Felice Gimondi.
(©
L´Unità Online)
La psicologa: «quando si smette c’è il crollo»
«Il mondo dello sport non ti ricicla e se sei stato un leader quando
smetti la solitudine è disorientante. Crolla tutto il castello e per
questo gli atleti alla fine vanno sostenuti». Monica Vaillant, campionessa
mondiale di pallanuoto nel 1998 e oggi psicologa dello sport, sintetizza
così il «male oscuro» che coglie i campioni quando smettono l'attività
agonistica di alto livello, e lo fa parlando
della tragica fine di Marco Pantani.
«La solitudine dell'atleta è triste
e profonda - spiega la pallanuotista che con il Setterosa ha vinto tutto
-. C'è una ferita narcisistica dell'autostima da rimarginare. Ma serve
tempo e c'è comunque una fase di depressione da superare. Il mondo non ti
ricicla facilmente, lo sport spesso ti chiude la porta in faccia e sparire
dal giro è pesante. Ci vogliono anni per riaversi». Un tunnel nel quale
secondo la psicologa Vaillant passano tutti: si salvano parzialmente
quelli che escono di scena «all'apice della carriera e quando lo fanno
volontariamente». Il caso
di Pantani si complica però di altri elementi: «La sua non è stata
una scelta autonoma - spiega Vaillant -. La sua situazione era
inquinata da voci. Evidentemente dentro di lui era ancora forte il
ruolo di leader, non era uscito da questo ruolo e il contrasto con
la realtà è stato insopportabile.
Continuava a vedersi il Pantani vincente ed è rimasto invischiato
in queste dinamiche, fino al crollo».
Uscire da quel mondo fatto
anche «di ossessioni, di regole precise, perché chi fa sport vive
un pò al di fuori del mondo reale» è traumatico. E lo sa bene
Vaillant che pure oggi è una mamma felice: «Il cambio di vita è
disorientante. Eri riconosciuto, ottenevi dei risultati e poi
tutto crolla perchè sei proiettato in un mondo in cui non ti
riconosce nessuno. Devi ricominciare tutto da capo. So cosa vuol
dire essere fuori, sentire che il mio posto era ricoperto da
altri, che quello che hai fatto per vent'anni è finito. Non sai
più chi sei e io tuttora lotto e faccio sogni angoscianti anche se
sono uscita dal giro in modo dolce. La fine di Pantani arriva
all'apice di una crisi volutamente non fatta trapelare
all'esterno».
Per
questo secondo l'atleta-psicologa gli sportivi andrebbero
sostenuti nella fase finale della carriera: «Dovrebbero essere
seguiti da uno psicologo negli ultimi anni di attività -
suggerisce Vaillant - perché si rischia tantissimo. L'atleta deve
crearsi un'alternativa di vita per non vivere situazioni che
altrimenti sono devastanti. Così anch'io cerco di stare vicino
alle mie ex compagne che dopo le olimpiadi smetteranno. So cosa si
passa, è dura».
( © L´Unità Online)
Dal mare alle montagne, l’epopea di
un eroe senza pace
di Marco
Bucciantini
Questa volta non torna più.
Dopo l’incidente con la macchina che lo investì contromano alla
Milano Torino del 1995, tornò e vinse tutto. Dopo Madonna di
Campiglio, e quell’ematocrito fuori giri nel giugno del 1999,
tornò e staccò Lance Armstrong in salita, a Courchevel, al Tour.
Dopo la crisi depressiva, ci fu comunque un Giro d’Italia
dignitoso, chiuso al 14° posto, con qualche vecchio scatto a
scaldare il cuore. Appena 10 mesi fa. Invece questa volta è
finita, per sempre. Marco Pantani non torna più.
Marco Pantani è morto, gela il sangue a scriverlo, ad
appena 34 anni. Diventa l’uomo dei sogni appena passato
professionista, nella Carrera Jeans di Davide Boifava e di Claudio
Chiappucci.
Ci sono
cinque date che fanno leggendario Marco Pantani, cinque giorni
eroici e maledetti nella sua parabola. Il 5 giugno del 1994
Pantani diventa campione. Il giro d’Italia aspettava il duello fra
Indurain e Chiappucci e invece c’è Berzin in maglia rosa, e
Indurain che - nell’ultima settimana di corsa - “deve”
ridimensionare il russo e fare la gamba per il Tour. C’è un
tappone con lo Stelvio in apertura, il Mortirolo e poi l’arrivo a
Santa Cristina. L’Italia guarda la tv: aspetta Chiappucci, spera
in Bugno. Invece è la tappa che chiude una generazione e apre
l’era Pantani. Marco va via sul Mortirolo. Dodici chilometri e
mezzo, 10,6% di pendenza, ma con tratti attorno al 20, ripidi e
disumani. E Pantani vola. Si arrampica come fa lui, alzandosi sui
pedali ma tenendo le mani sulla curvatura del manubrio e non sui
freni come gli scattisti della salita, quindi portando le anche
alte, ondeggianti. (Il suo non era uno scatto, era un cambio di
velocità lungo cinquecento metri. Quando rifiatava non si poteva
saltargli a ruota, perché la ruota di Pantani non si vedeva più).
Berzin è in crisi, Indurain arranca. Pantani scollina, aspetta il
Navarro per fare un po’ di strada insieme, poi se ne va di nuovo.
Quel giorno le fantasie degli appassionati di ciclismo cambiano
faccia, che diventa pelata (con ancora un po’ di capelli sopra gli
orecchi), ossuta, triste. Pantani chiude il giro al secondo posto,
dietro Berzin ma davanti a Indurain. L’altra
data è il 18 ottobre del 1995. Era stato un anno complicato
per Pantani, il Giro d’Italia saltato per una caduta in
allenamento, il primo Tour de France affrontato con una
preparazione perciò precaria, la prima vittoria all’Alpe d’Huez,
la montagna che in Francia dicono: è di Coppi. Ai mondiali
colombiani prende il bronzo, dietro agli spagnoli Olano e
Indurain. Il 18 ottobre Pantani corre la Milano-Torino. Una
macchina risale scriteriatamente il percorso di gara contromano e
lo investe. Pantani si maciulla la gamba sinistra. Frattura di
tibia e perone. Sembra finita, ma nel dolore Marco si
ricostituisce. La terza
data nel destino di Pantani è il 26 giugno del 1998. È
quando muore Luciano Pezzi, il punto di riferimento per Marco
Pantani dentro la Mercatone Uno, la sua nuova squadra, ma più in
generale nel mondo del ciclismo. Pantani era tornato fino a
trionfare davanti a Tonkov nel Giro del 1998. Dopo il Giro, un po’
di feste, di gloria. Il Tour alle porte e poca voglia di correrlo.
Poi muore Pezzi e Pantani va in Francia. Per lui. Per riportare un
italiano davanti a tutti 33 anni dopo Gimondi. Quel Tour Pantani
lo vince alla maniera dei campionissimi. Ogni salita, una fuga.
Tutto quello che Ullrich guadagna in pari, a cronometro, Pantani
lo riprende sulle montagne. Il 27 luglio, alla Grenoble - Les Deux
Alpes, il tedesco ha ancora un paio di minuti di vantaggio in
classifica. Pantani deve prendere la maglia e mettere fra se il
grande passista un po’ di secondi, perché c’è sempre la cronometro
al penultimo giorno di corsa. Piove, c’è nebbia, grandina. Sul
Galibier, quasi duemila settecento metri, Pantani va. Scatta a
otto chilometri dalla sommità. «M’illumino di Pantani», scriverà
l’inviato di Repubblica Gianni Mura. Ullrich prende nove minuti. A
pochi chilometri dal confine, nell’alta Savoia, Pantani è
leggenda. Giro e Tour nello stesso anno.
Dura 10 mesi. Il 1999 si annuncia trionfale come il precedente. Il
rodaggio di primavera, l’arrivo della stagione dei grandi giri.
Altra dimensione il Pantani ciclista non l’ha avuta, non l’ha
voluta (un fondista come lui avrebbe potuto dire la sua nella
Liegi Bastogne Liegi, ai mondiali, o al Lombardia). Parte il Giro
e Pantani domina in modo sfacciato. Il penultimo giorno di gara
c’è il tappone, fatto apposta per l’impresa di Marco. Da Madonna
di Campiglio all’Aprica, e nel mezzo il Gavia e il Mortirolo.
Pantani nemmeno parte. L’ematocrito è sopra il 50%, esce
dall’albergo con le forze dell’ordine intorno, con gli occhi gonfi
per il pianto. Pantani muore un po’ lì.
È il 5
giugno 1999, come era il 5 giugno il giorno del primo
Mortirolo, cinque anni prima. Dopo Madonna di Campiglio la
carriera di Pantani va avanti nelle parentesi felici della sua
tormentata vita. Un orgoglio smisurato, distruttivo. Correrà un
grande Tour, con le ruote davanti al Re Armstrong, sempre in
salita, ancora più forte di tutti. La salita. La vita diventa
un’arrampicata, in una cronologia è giusto scrivere tutto, ma in
un ricordo Pantani si ferma qui. Il resto non conta.
E la
quinta data è da scrivere sul marmo, sopra il tumulo di un ragazzo
che ha fatto sognare, ha sbagliato e ha perso tutto.
( © L´Unità Online) |