Roma - Un viaggio planetario per conoscere meglio i giovani
italiani cittadini del mondo. Sono stati presentati oggi, alla
Farnesina, i risultati di un'indagine promossa dal Ministero degli
Affari Esteri italiano - Direzione Generale per gli Italiani all'Estero
e le Politiche Migratorie - e dal Consiglio Generale degli Italiani
all'Estero (CGIE) sui giovani italiani residenti nei cinque continenti.
Avviato nel 2001 e concluso nel luglio 2004, lo studio è stato
realizzato dall'IREF, l'Istituto di Ricerca delle ACLI (Associazioni
Cristiane Lavoratori Italiane), e dalla Società Italiana Analisi e
Ricerche Economiche e Sociopsicologiche (SIARES).
All'incontro - cui hanno partecipato il Direttore Generale per gli
Italiani all'Estero Adriano Benedetti, il Segretario Generale del CGIE
Franco Narducci e il Direttore Generale dell'IREF Marco Livia -
è stato snocciolato l'obiettivo principale
dell'indagine: quello di analizzare la complessa realtà dei giovani
discendenti degli italiani emigrati all'estero e dei neo immigrati, di
età compresa tra i 18 e i 35 anni, con particolare attenzione
ai percorsi della loro integrazione nelle realtà locali e alla loro
partecipazione alla vita politica ed economica dei Paesi ospitanti.
Quattro le aree continentali toccate dall'indagine - Europa,
America, Africa e Oceania - che ha quindi coinvolto quei Paesi
in cui è significativa la presenza di emigrati italiani e dei loro
discendenti.
"Una ricerca opportuna nella sostanza e nei tempi - ha
commentato Benedetti in apertura della conferenza stampa di
presentazione - che offrirà nuove prospettive per tutte le nuove
generazioni".I giovani italiani incontrati all'estero sono i
discendenti della prima e seconda generazione e gli epigoni (neo
immigrati) della 'nuova' diaspora italiana. Lo scopo principale della
ricerca è stato quello di analizzare la specificità culturale e
sociale dell'ultimo anello della catena migratoria italiana, tenendo
conto delle principali tappe biografiche dell'esperienza giovanile
. Nello specifico, sono stati indagati su tre punti fondamentali:
identità culturale e rapporto con la tradizione migratoria;
esperienza quotidiana: studio, lavoro, tempo libero, partecipazione
politica e sociale; legame con l'Italia .
Dalla disamina di questi tre punti
si è cercato di costruire
quale sia il significato che oggi i giovani italiani all'estero
attribuiscono alla propria origine, quali siano le loro aspirazioni
future e, anche, le loro preoccupazioni attuali. In definitiva,
è stata compiuta una sorta di immersione nel loro vissuto, cogliendone
le opinioni, le percezioni e le spinte emotive.
L'intero studio
è stato realizzato secondo una metodologia qualitativa: ciò significa
che lo strumento privilegiato è stato quello dell'intervista,
attraverso la quale i giovani hanno avuto la possibilità di raccontare
la loro esperienza personale mentre il ricercatore ha agito come un
testimone fedele delle loro narrazioni.
"Negli ultimi vent'anni - ha spiegato il presidente del
Comitato Scientifico della Ricerca per il CGIE, Padre Graziano Tassello
- non erano mai state condotte ricerche sociologiche di
questo tipo legate all'emigrazione italiana e questo studio
rompe un silenzio diventato troppo lungo e pesante". Per farlo,
i ricercatori hanno dialogato con i diretti protagonisti non
solo nei Paesi che hanno costituito le mete classiche dell'epopea
migratoria italiana, ma anche in quelli più piccoli.
Lo studio si è basato su quattro principali fonti
informative: analisi secondaria (studi e ricerche sul fenomeno
migratorio, dati statistici, leggi, materiale grigio, altre
testimonianze); interviste non dirette con un panel
rappresentativo (i giovani intervistati sono 429);
altre fonti dirette (interviste con i responsabili della
comunità italiana - presidenti di associazioni, Comites - o colloqui con
esperti e testimoni privilegiati; focus group e
biografie di vita e storie familiari.
Il principale contributo della ricerca è quello di aver approfondito
la condizione giovanile nei singoli contesti nazionali. Ciascuno dei
rapporti è una monografia a se stante e in ognuno dei Paesi analizzati
si osservano elementi distintivi. Le diverse realtà nazionali,
insomma, non sono riconducibili ad un unico quadro unitario, ma tengono
conto delle singole realtà nazionali in cui risiedono i giovani.
Al di là delle specificità nazionali, comunque, la ricerca ha fatto
emergere alcuni aspetti comuni tra i giovani.
Rispetto agli emigranti del dopoguerra,
i giovani si
presentano come un gruppo di coetanei che esprime una visione del mondo
originale dalla quale emerge una discontinuità abbastanza netta rispetto
agli avi-emigrati. E tre sono i processi che li uniscono:
l'esperienza migratoria diventa reversibile; il passaggio dalla 'doppia
assenza' alla 'doppia presenza', la re-invenzione dell'italianità. "Mentre
per le prime generazioni questa ricerca rappresenta una riscoperta dei
loro figli - aggiunge Tassello - per i giovani si tratta di
disegnare una nuova società. Non sono più individui seduti su
due sedie in maniera scomoda e conflittuale, ma persone perfettamente
inserite nel nuovo contesto globale ".
Perché reversibile? Oggi, le distanze tra i Paesi si
accorciano, ponendo l'emigrato (e i suoi discendenti) di fronte a una
condizione duratura di transitorietà: si può sempre cambiare meta,
qualora si presenti l'occasione o si subisca un improvviso rovescio del
destino. Anche in passato si poteva pensare al ritorno nel Paese
d'origine o a un nuovo trasferimento all'estero, ma questo mutamento di
rotta avveniva in presenza di oneri economici più pesanti e,
soprattutto, aveva conseguenze penalizzanti in termini di autostima
personale. Ora, il nomadismo acquisisce un significato positivo,
diventando sinonimo di espressività e di autonomia. Dal punto
di vista culturale, i giovani italiani oltreconfine sembrano aver
assimilato questo cambiamento: il rientro nella madre patria o la
possibilità di fare un'esperienza in un altro Paese sono ipotesi sempre
aperte e percorribili. La reversibilità dei progetti di vita è
un tratto costitutivo dei giovani.
E cosa significa il passaggio dalla 'doppia assenza' alla
'doppia presenza'? Le emigrazioni del dopoguerra erano
caratterizzate da quella che un sociologo algerino ha definito la
'doppia assenza', ovvero l'emigrante aveva la sensazione di un
doppio sradicamento: si sentiva lontano dalla terra d'origine e
'ingombrante' nella terra d'arrivo. Oggi, questa sensazione di
spaesamento non emerge più: i giovani, grazie anche al loro
maggiore livello di istruzione, non sono "compresenti dal punto di vista
culturale".
Terzo punto, quella che si può definire una 'reinvenzione'
dell'italianità. I giovani italiani all'estero sono riflessivi
rispetto alla tradizione da cui provengono.
Il loro rapporto con
le origini, infatti, somiglia a una 'revisione del retaggio', ovvero una
re-invenzione autonoma che investe la sfera cognitiva e la
dimensione comportamentale. Ciò significa che il loro retroterra (del
Paese d'origine e di quello d'adozione) viene costantemente rimesso in
discussione.
Dalla ricerca si delinea, inoltre, una tendenza comune: la
scarsa partecipazione dei giovani nei circuiti associativi delle
comunità italiane all'estero (ad esempio nelle associazioni
regionali e in quelle di promozione sociale). Le motivazioni sono
risultate abbastanza evidenti: gli enti associativi soono luoghi,
ritagliati attorno all'esigenza delle generazioni passate, di
condivisione dell'esperienza di sradicamento: in essi si ravviva la
memoria dei sacrifici fatti dagli avi e si risponde alla nostalgia con
la rievocazione delle sagre paesane e con gli anniversari dei santi
Patroni. Un meccanismo di aggregazione che non fa leva sui giovani.
I suggerimenti per ravvivare questi meccanismi e rinfrescare la
partecipazione sembrano in definitiva essere:
far sì che le
associazioni sostengano i giovani nella sfera occupazionale; i
sodalizi dovrebbero proporre nuove iniziative culturali, tenendo conto
che oggi i giovani vogliono tenersi informati sulle questioni di
attualità del loro Paese d'origine e sulle tendenze recenti della
cultura locale.
Risultato finale, come spiega
Cristiano Caltabiano per l'IREF,
sono "14 monografie nazionali che intendono
costituire materiale vivo capace di stimolare un nuovo e rinnovato
dibattito fra gli italiani all'estero". Interssante anche
la fisionomia dei neo immigrati, ovvero di quei giovani che partono
oggi. Oltre alla fuga dei cervelli,
esiste una miriade
di vicissitudini e di scelte che spingono le nuove generazioni di
italiani a trasferirsi in realtà dove le prospettive occupazionali non
sono tali da presupporre una vita interamente consacrata alla carriera.
"Ricordo un caso in particolare - racconta Caltabiano
- Quello di un giovane che, dopo essere rientrato in Italia, decide
di far ritorno in Argentina, dove era nato, per diventare costruttore di
un ponte culturale tra i due Paesi, in particolare attraverso il teatro".
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News ITALIA PRESS)